Testimonianze di resurrezioni - III. Tiresia e sua figlia Manto II parte (NARRATIVA) ~ di Ksenija Skliar - TeclaXXI

                                     

NARRATIVA


                                Testimonianze di resurrezioni

III. TIRESIA E SUA FIGLIA MANTO

II PARTE*

di Ksenija Skliar


* la prima parte è stata pubblicata da TeclaXXI  il 18/09/2025

III. Tiresia e sua figlia Manto (II parte)

Là, nel Distretto dei Laghi, da anni sonnecchiava un drago benefico della centrale nucleare. Nelle sue viscere ogni giorno s’addentravano uomini e donne, più o meno giovani. Tra loro Tiresia, ingegnere nucleare, e suo marito, ugualmente ingegnere nucleare. Una piccola città cresceva ai piedi del gigante. Fino all’anno del grande crollo: il drago, giudicato più pericoloso che utile, fu soppresso. La piccola città iniziò a morire prima di essere invecchiata. Tiresia divenne postina e suo marito elettricista in un villaggio di laghi placidi circondati da salici piangenti. Ogni sconfitta può essere tramutata in liberazione, pensava Tiresia. Per lui il crollo significava solo declino. E dov'era la figlia? Quell'anno aveva 10 o 12 anni. Non avevo detto che fossero arrivati tutti e tre, giovani genitori con una figlia? Sbagliavo. Manto era cresciuta, fino a quell'anno, altrove. Ma dove?

Il padre di Manto era sparito a febbraio per riemergere in qualche comunità di sedicenti vecchi credenti e contrarre matrimonio con una tizia cinquantenne, madre di tre figli adulti, reduce da quattro matrimoni. Tiresia, sollevata, si tagliò i capelli quasi a zero e si rivelò nuova. Diceva, sorridendo, che quell'uomo sarebbe ricomparso tra qualche mese, affranto e miserabile, a chiedere dei soldi. A maggio il santone fu arrestato e la comunità sciolta. L'uomo, affranto e miserabile, si rifugiò in casa di sua madre. Proprio in quei giorni Manto incontrò la sua vipera, una sola, una vipera-zitella, nel giardino inselvatichito tra la casa e il lago: l’animale sfiorò con la sua lingua gli stivali di gomma di Manto e sparì.

 Manto, conclusa la parentesi settaria di suo babbo, mi fece sapere delle cose. Il santone - fondatore, ex guardia giurata, prometteva al suo gregge salvezza tra i boschi, lontano dal malvagio mondo degli altri destinato all'imminente decomposizione anche fisica risultante dalla sua indubbia putrefazione morale (Manto citava le sue esatte parole). Il suo villaggio paradisiaco avrebbe dovuto far a meno di tutta quella putredine: soldi, medicinali, telefono, elettricità... l'unica casa non di legno era del fondatore: là abitava con «marta e maria», due ex allieve di un istituto per orfani sociali, diciotto e sedici anni, ragazzone alte e robustissime, con lunghissimi capelli che non risentivano per niente dell'assenza di sapone (shampoo, un intruglio chimico dal nome barbaro, sicuramente era putredine, il sapone, bruno e puzzolente, allo zolfo, si poteva usare ogni tanto, in segreto). La materia più vile e nociva, i soldi, finivano nelle manine del santone: bisognava pur dar a «Cesare» (la grassona della Provincia che si occupava di salvaguardia del massivo boschivo all'interno del quale tre villaggi abbandonati, ideali per la salvezza) una mazzetta. In verità la grassona era fatta di acciaio inossidabile, non si corrompeva, anzi, cedette i villaggi gratis, rischiando la propria pelle rosa. Perché sperava di diventare lei l'unica compagna di lui, una madre paleolitica, una venere genitrice. E fu lei ad allarmare le forze dell'ordine, le quali non avevano ricevuto proprio nulla di ciò che avrebbe spettato loro (una mazzetta ancora più nutrita). Lo fece perché il suo eroe rifiutava, blandamente, con discorsi fatui, con occhi di pesce morto, di cacciar via le sue due cretine…

 E quel pover’uomo, quel padre, si nascondeva sulle sponde del torbido Mar d’Azov, dove nei primi anni Venti tra i canneti si rifugiavano coloro che volevano restare lì, a resistere, degli anarchici invisibili, contrari a ogni zar, unto dal Signore o acclamato dalle folle indemoniate. Un mondo silenzioso, come quello del Distretto dei Laghi, ma non ascetico, ricco di lenti pesci e di grasse anatre, tellurico e carnale, avido e vendicativo, doveva ora accogliere un piccolo traditore, figlio e nipote di traditori più grandi, quasi epici, maledetti e stramaledetti da generazioni di narratori nativi. Ogni vecchio dagli occhietti torvi, curvo e baffuto, dalla voce assordante, qui, è un testimone della caduta di eroi, e della disfatta dei loro traditori, poiché ogni eroe che viene al mondo chiama dagli abissi il suo traditore, un eroe deviato o un eroe uscito male, plasmato da una maldestra mano invidiosa.

Gli anarchici, i briganti dei canneti cercavano di resistere alla marea rossa che veniva dalla terraferma. Finché un avo del babbo fuggiasco non vendesse il capo, il Cavallo Screziato, agli uomini con la stella rossa in fronte. E il mondo cascò a pezzi, e le erinni della steppa spiccarono il volo. La gente restò immobile, inscalfibile, invincibile, a difendersi, come nei secoli precedenti, tra il mare che sembra un campo arato e la steppa che sembra un oceano di desolazione. Ad aspettare la disfatta del traditore, a sperare nella liberazione miracolosa dell’uomo simile ad un cavallo screziato. Alcune donne, dopo la guerra, negli anni Cinquanta, giuravano di averlo visto, il brigante martire, al mercato, per un attimo solo, di averlo subito riconosciuto, di essere state da lui riconosciute, senza cenno né parola.

Un traditore non ha mai pace, non sa stare fermo nemmeno un attimo. Se si sofferma davanti ad una fontana, davanti ad un gatto che si stiracchia con gli occhi beatamente socchiusi, o alza lo sguardo per seguire il volo delle rondini, dentro di lui scoppiano mille vulcani, la rabbia mai sopita è pronta ad annientare tutto intorno, maledire l’acqua che zampilla, la grazia sprezzante felina e la seta nera degli uccelli. Vuole che tutto intorno a lui fosse sia un folle movimento senza meta, una fuga disperata verso l’orizzonte inesistente, vuole rompere ogni tazzina di porcellana, perforare ogni palloncino colorato, tappare ogni bocca.

Chi è capace di star fermo non ha paura degli occhi dell’Altissimo, chi sa respirare a pieni polmoni si affida a Colui che soffia dove vuole. Chi sa star fermo, chi accarezza la corteccia di un albero, ha ancora speranza di vincere la paura. Un uomo traditore corre e salta come una lepre dagli occhi globulari bianchi di terrore, traccia arzigogoli in cerca di nascondigli, senza trovarne uno, intorno trova solo pianura, gelida o torrida, senza fine. La prole che genera, anch’essa correrà. Per due o tre generazioni il torrente di quel sangue velenoso li trascinerà, ma sempre con meno vigore. E qualcuno ne uscirà.

Ne usciva Manto, con dolore e pianto muto se ne liberava, e se è ancora in vita, spero stia sulla buona strada.

KSENIJA SKLIAR  

BIONOTA Sono Xenia, nata nel 1979. Preferisco la grafia meno ridondante del mio nome, quella con la X. La mia vita è fatta di continui scambi e cambiamenti, complice il percorso di studi in linguistica e filologia, che assicurano la serenità dei cronotopi interiori che custodisco: gli ultimi, velocissimi, anni dell’URSS, i faticosi anni Novanta nella giovane e verde Prussia Orientale, e il secolo XXI, pervaso dal Trecento, a Siena. Allo stesso modo, scambi e cambiamenti, refusi e risemantizzazioni rendevano sempre vivi e vegeti bestiari, vite dei santi, romanzi cavallereschi e altre storie, sempre vere, del Medioevo.


 


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