Notorious – L’amante perduta di Alfred Hitchcock (1946) di Alessandro Iovinelli (cinema d'antan)

 

CINEMA D’ANTAN

   

Notorious – L’amante perduta di Alfred Hitchcock (1946)

di

Alessandro Iovinelli

 

 

 



A Truffaut che lo considerava il suo film preferito, Hitchcock rispose con una modestia da far invidia: Notorius si basa su uno spunto «semplicissimo ma concreto e rappresentabile visivamente: un campione di uranio nascosto in una bottiglia di vino».

Intorno a quest’idea di partenza – il cosiddetto Mac Guffin, per restare nel gergo di Hitch – è costruita la storia di Alicia, figlia di un nazista condannato negli USA e persuasa da un agente del FBI, Devlin, a collaborare con il governo americano in una missione di spionaggio che la riscattasse dall’onta paterna (non dimentichiamo che il film risale al 1946), nonché dall’ombra del proprio  passato da Traviata: dovrà prendere contatto con un amico del padre, il ricco e stagionato Sebastian, che vive a Rio de Janeiro e accoglie in casa un gruppo di fuoriusciti nazisti sospettati di architettare complotti antiamericani. Alicia accetta ma, una volta in Brasile, le accadono due imprevisti: non solo Devlin scopre di amarla, ma lo stesso Sebastian se ne innamora tanto da chiederla in moglie. Celebrato il matrimonio, i sospetti di Alicia prendono corpo: la compagnia degli ospiti abituali è inquietante; la suocera è quanto meno ostile; infine, nella nuova, enorme casa in cui si è trasferita si cela un luogo misterioso: la cantina chiusa a tutti, se non a Sebastian che tiene per sé la chiave d’ingresso (con la sigla, ovviamente, di unica). Ed ecco svolgersi la lunga sequenza che catalizza la tensione, la suspense, insomma la grandezza di questo film: Devlin convince Alicia ad impossessarsi della chiave e a penetrare insieme con lui nella cantina, proprio durante un ricevimento in onore della sposa.

Ora, come tutti i cultori del cinema di Hitchcock sanno, nei suoi film si trova sempre un oggetto dal formidabile valore metonimico. Può essere il binocolo della Finestra del cortile, oppure i cembali dell’Uomo che sapeva troppo, o perfino il bicchiere di latte del Sospetto. Non importa che cos’è, ma che cosa diventa. Si tratta sempre di qualcosa che condensa la storia e resta nella memoria dello spettatore secondo una modalità di persistenza ed evocazione. Qui la cosa protagonista della scena è una bottiglia di Pommard, un rosso di Borgogna, per l’esattezza quella etichettata Grands Vins de Bourgogne e prodotta da François Penot (sic), annata 1934. La si vede in primo piano, involontariamente sospinta in fuori dal gomito di Devlin che sta frugando alla ricerca di qualche prova (cade o non cade?) e poi, infine, in pezzi a terra. Complice la fotografia in bianco e nero, quand’era intatta, poteva ingannare sul suo contenuto, giacché la polvere dell’uranio e il rosso borgognone non si distinguevano nella penombra della cantina. Invece, una volta ch’è andata in frantumi, la bottiglia rivela il contenuto proprio e quello delle altre bottiglie vicine: l’uranio.



Non la guerra chimica o batteriologica si agitano nell’immaginario del pubblico del dopo Hiroshima, ma la minaccia atomica, sia pure per il momento solo potenziale, giacché gli USA usciti vittoriosi dalla Seconda guerra mondiale detengono ancora il monopolio del nucleare.

            In vino veritas lo si potrebbe dire, sia pure per antitesi, della scoperta della cospirazione da parte di Devlin ed Alicia. A maggior ragione, in ogni caso, il detto vale per il seguito della sequenza, allorché tocca a Sebastian scoprire di essere stato ingannato.

Infatti, i due agenti-amanti hanno sostituito la bottiglia rotta con un’altra, gettandone via il vino e travasandovi con un imbuto improvvisato la micidiale miscela atomica. Ma, per la necessità di fare in fretta, Alicia non ha asciugato bene il lavandino. Il rigagnolo scuro  che scorre lungo lo scolo insospettisce – chissà perché – l’inquieto Sebastian. Torna sui suoi passi, si avvicina al primo ripiano dei vini, quello del 1934. Particolare in soggettiva sulle bottiglie: 1934, 1934, 1934… 1940!



Neanche il tempo di riflettere e il personaggio apprende – nell’ordine – che la bottiglia è fuori posto, che è stata aperta, che è stata richiusa malamente e riempita dell’uranio che non avrebbe dovuto contenere. Dunque – come, sconsolato, ammetterà nella scena successiva con la madre – la conclusione è una sola: «Alicia è una spia americana».

  

NotoriousL’amante perduta (Tit. orig. Notorious)

Anno:1946

Soggetto e regia di Alfred Hitchcock

Sceneggiatura di Ben Hecht

Fotografia di Ted Tetzlaff

Con Ingrid Bergman (Alicia Huberman), Cary Grant (Devlin), Claud Rains (Alexander Sebastien), Leopoldine Konstantin (Mrs Sebastian)

 

ALESSANDRO IOVINELLI



BIONOTA Alessandro Iovinelli, direttore scientifico di TeclaXXI
Alessandro Iovinelli (Roma, 1957) ha conseguito la laurea in lettere (Roma, La Sapienza) e il dottorato di ricerca in “Culture et Societé en Italie du Moyen-Age au XXème siècle”, (Parigi, La Nouvelle Sorbonne).
È poeta, narratore, critico e regista teatrale.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti, saggistica, nonché tre romanzi.

 

Commenti

  1. Sei il degno erede della famiglia Iovinelli. L'amore per il cinema si manifesta in ogni cosa che scrivi. I particolari fanno la differenza. L'annata del vino, la notazione sul colore. Insomma riesci sempre farti seguire, mio compagno di remo

    RispondiElimina
  2. Bravo, Alessandro, chiaro, sintetico, puntuale. È sempre un piacere leggere i tuoi scritti!❤️

    RispondiElimina
  3. Uno dei film esteticamente più belli, con una pellicola in "bianco e nero" curatissima, così pure le luci e le inquadrature fondamentali per il ritmo incalzante della storia. Anche se rivisto più volte è incredibile come il film mantenga intatta la capacità di creare suspence. Uno dei miei registi preferiti. Grazie per questa descrizione così viva e attenta.

    RispondiElimina

Posta un commento

È gradita la firma in calce al commento. Grazie.