Parigi 12 febbraio 1934 di Marco Cignetti - parte II ( storia&narrativa)
Marco
Cignetti
Parigi,
12 febbraio 1934
Un
episodio del passato – Un insegnamento sempre attuale
Seconda
parte
5
– PARIGI! La seconda giornata di Beatrice a Parigi iniziò verso le 7, come
molte sue giornate a Torino. Indossò abiti comodi, scese nel salone ristorante
per la colazione, poi tornò in camera per prepararsi e uscire. In verità,
doveva ancora decidere come organizzare la giornata. Una serie di impegni per i
giorni successivi era già definita, con prenotazioni tramite posta elettronica
o telefonate, ma per quel giorno aveva preferito lasciarsi aperte tutte le
possibilità, compreso quello di fare la turista col naso per aria dal mattino
alla sera. Prima di entrare nella doccia, accese il tablet e avviò una delle
sue playlist, quella della musica d’autore in lingua francese. Amava anche
altri generi musicali: cantautori italiani, gruppi inglesi e americani, jazz,
classica… però Juliette Greco, Georges Brassens e Jacques Brel le sembrarono
più adatti per quel momento. Uscì dalla doccia mentre Brassens iniziava una
delle sue canzoni preferite, “Le parapluie”. Il pleuvait fort sur la grand-route Elle cheminait sans
parapluie J'en avais un, volé, sans doute Le matin même à un ami… Il
cellulare suonò a metà della prima strofa. Era Michel, si scusava per l’orario
insolito, ma voleva informarla che l’autorizzazione sarebbe arrivata solamente
in serata. Fu molto delusa. Doveva ancora organizzarsi la giornata e, tutto
sommato, Michel l’avrebbe rivisto volentieri. Stava accarezzando l’idea di
tornare in Istituto e farsi consigliare da Michel su quale settore di documenti
esaminare. Fu Michel a toglierla dall’imbarazzo. Pioveva forte sulla strada
maestra, lei camminava senza ombrello. Io ne avevo uno, rubato senz’altro quel
mattino stesso a un amico. “Se permette un suggerimento, ho una cara amica che
lavora al Ministero dell’interno, potrebbe metterle a disposizione i risultati
delle elezioni del 1932 e del 1936, ad un livello di dettaglio non disponibile
nelle pubblicazioni ufficiali, così potrà portare avanti quella parte del suo
lavoro di cui mi ha parlato ieri” Ne fu entusiasta, era una delle direzioni
verso cui intendeva orientare la sua ricerca, e in più le consentiva di
abbinare “quella” camminata in città, che pensava di fare, anche se non aveva
ancora deciso il giorno. Il ritornello della canzone venne coperto dalla
conversazione, ma Michel sentì distintamente la fine della seconda strofa: J'aurais
voulu, comme au déluge Voir sans arrêt tomber la pluie Pour la garder, sous mon
refuge Quarante jours, quarante nuits.[1]
“Ah, Brassens, uno dei miei preferiti!” esclamò Michel. “Stavo per chiederle se
conosce Brassens, ma ormai so già la risposta” “Certo che lo conosco, molti
francesi lo conoscono solo di nome. Affettuosamente, i suoi estimatori lo
chiamano “Tonton Georges”, come dire “Zio Giorgio” … “lo sa che quest’anno è il
centenario della nascita?” “Uh, non lo sapevo! Chissà quante iniziative in
programma…” “Moltissime: Sète, la sua città natale, è tutta un evento, hanno
iniziato a giugno, il clou sarà a ottobre. Se il COVID non farà brutti scherzi…
a proposito di COVID, al Ministero sono molto rigidi su mascherine, pass, eccetera,
si prepari” Diede i riferimenti necessari per contattare la sua amica al
Ministero e accordarsi sull’orario, promettendole che l’avrebbe chiamata subito
per anticiparle la telefonata di Beatrice; si salutarono, proprio mentre
Brassens cantava il finale della canzone: Il a fallu q’uelle me quitte Après
m'avoir dit grand merci Et je l’ai vue toute petite Partir gaiement vers mon
oubli.
L’amica di Michel le
aveva dato appuntamento per le 11, quindi aveva una parte della mattina a
disposizione. Così, rifece il percorso del corteo (o dei cortei?) che la
mattina del 12 febbraio 1934 avevano attraversato il centro della città,
ripercorrendo il viale dove secondo le cronache, avvenne il famoso incontro fra
comunisti e socialisti. Sul punto, rifletteva mentre si avvicinava a Rue des Pyrénées,
non tutte le fonti danno versioni univoche. L’Excelsior e il Petit Parisien,
due giornali che non ci sono più, davano versioni simili fra loro, ma diverse,
ad esempio, da quelle che davano l’Humanité e Le Populaire (comunista il primo,
socialista il secondo). Secondo i primi, il punto d’incontro dei socialisti è
all’incrocio fra Cours de Vincennes e Rue des Pyrénées, che inizia a popolarsi
fin dal mattino. Il Petit Parisien riferisce che un corteo di 5000 aderenti al
PCF si ritrova alla Portes de Vincennes alle 14, e di fatto conferma che i
socialisti si sono dati appuntamento all’angolo fra Rue Marsolan e Rue des Pyrénées.
Ma nemmeno sul luogo d’incontro, le versioni coincidono perfettamente. E poi,
sembra ci fosse una grande presenza di curiosi e di semplici cittadini, non
legati a nessun partito. “Ma i cortei erano proprio due? si chiese Beatrice. E
i radicali, che in Parlamento avevano una importante rappresentanza, pur avendo
perso consensi alle elezioni del ’32, non c’erano?” Quando arrivò al Cours de Vincennes,
ebbe la conferma che i cortei potevano, almeno all’inizio, essere proprio due.
Se ne andò come niente, dopo grandi ringraziamenti, e io la vidi, piccina
piccina, partirsene allegramente verso il mio oblio. Il corso era costituito da
due ampie carreggiate divise da una cordonatura, a tratti arredata a verde,
della quale avevano parlato anche le cronache dell’epoca. E poi, c’erano anche
due file di alberi che delimitavano due controviali. Sulla loro esistenza nel
1934, però, non aveva trovato riscontri. Sarà stato da quei controviali, con
gli altoparlanti al massimo, che i comunisti, quelli più rigidamente “fedeli
alla linea”, cercarono di attrarre a sé i socialisti, come riferiva Wikipedia
francese? Sull’atteggiamento dei comunisti dell’epoca, non aveva dubbi. La
linea del ‘socialfascismo’, cioè quella posizione secondo la quale si era
vicini alla rivoluzione mondiale, e quindi i socialisti, che non ci credevano,
erano posti sullo stesso piano dei fascisti, era una posizione sbagliata,
dettata per convenienza da Stalin e dalla Terza internazionale. Proseguì verso
Place de la Nation, inebriata dall’aria fresca del mattino e dalla sensazione
di ripercorrere i passi della Storia. Tornando a riflettere sulle testimonianze
trovate sui giornali dell’epoca, trovava paradossale –ma solo fino a un certo
punto – che fossero proprio l’Humanitè e il Populaire, a non dare risalto al
fatto che la spinta all’unità d’azione era venuta ‘dal basso’. Aveva forse
ragione lo storico Vergnon, a sostenere che di quell’incontro si fosse
tramandata una ‘costruzione memoriale’, una specie di mitizzazione, quasi una
leggenda? O forse era invece vero che fu il peso degli “apparati” dei partiti,
che controllavano i rispettivi organi di stampa, a non voler mettere in risalto
questo aspetto della manifestazione? Questi pensieri la disturbavano. Se era
vero che la memoria collettiva aveva ingrandito alcuni aspetti di quella
giornata storica, come spiegare la diffusione di quello spirito unitario in
tutta la Francia e non solo nella capitale? Come spiegare il fiorire di
manifestazioni, comitati antinazisti, ordini del giorno unitari - perfino nei
piccoli comuni di campagna – nella settimana stessa e in quelle successive?
Come spiegare il cambiamento della linea politica dell’Internazionale comunista
solo pochi mesi dopo? E che dire 36 allora del patto di unità d’azione di
luglio, la successiva nascita del Fronte popolare e la sua vittoria alle elezioni
del ’36? Quando arrivò a Place de la Nation, provò una grande emozione, quasi
come quella volta in California, con Mario e le bambine, quando arrivarono al
Grand Canyon. Era veramente uno spazio enorme, immaginarlo pieno di gente che
manifestava contro Hitler e per l’unità d’azione, la entusiasmava. Persone che
non volevano che la Francia facesse la stessa fine dell’Italia, persone che
avevano capito ciò che non avevano capito le classi dirigenti Europee (a
cominciare dai Chamberlain e Daladier), cioè la pericolosità di Hitler e
dell’ideologia nazista. Si concesse ancora qualche minuto per abbracciare la
piazza con uno sguardo, poi proseguì verso gli archivi del Ministero.
La ‘cara amica’ di Michel
si chiamava Justine, era più giovane di Michel, ed anche molto bella. E come
dubitarne?... pensò. Era anche particolarmente gentile, e si interessò subito
alle sue ricerche. Beatrice cercò di chiarire subito l’oggetto della ricerca, e
il suo punto di vista. “La mia ipotesi è che alcuni storici tendano a
sottovalutare l’importanza della manifestazione del 12 febbraio. Pensi che Wikipedia
italiana non ne parla, né alla voce “Fronte popolare”, né alla voce “Leon
Blum”. A parte questo, vorrei capire veramente fino a che punto, in quegli
anni, la gente, gli attivisti di base dei partiti, dei sindacati, gli
intellettuali, fossero più avanti dei loro dirigenti, e se quella giornata ha
influenzato in qualche modo le elezioni del ‘36.” “È veramente un argomento che
merita approfondimenti. Per noi parigini, è stato un momento importante della
nostra storia. Ciò nonostante, a Parigi non c’è una strada intitolata alla
giornata del 12 febbraio 1934, c’è nel Comune di Malakoff, appena fuori della città”
“Sì, l’ho scoperto facendo le mie ricerche da casa…” “Comunque, è interessante vedere che a volte,
nella storia, il popolo ha una sensibilità politica superiore a quella delle
classi dirigenti. Altre volte capita il contrario, naturalmente… non credo
esista una legge storica al riguardo” “Certo, non sono una populista, non ho
mai pensato che il popolo possa avere sempre ragione”. Per un attimo, Beatrice
temette di aver dato quell’impressione. “Però mi affascina capire perché a
volte questo avviene. Ma mi tolga una curiosità: Michel mi ha detto che suo
nonno è stato uno storico importante, lei ha scelto una strada completamente
diversa…” “In un certo senso, no. Mio nonno, ma anche mia madre (anche lei era
insegnante di storia) cercavano la ‘verità’… la ‘verità storica’ ovviamente, un
po’ come lei… Anche io cerco la verità, solamente con altri strumenti, la cerco
con la statistica!” Fu colpita da questa osservazione, che poteva sembrare una
battuta per chiudere l’argomento, ma aveva comunque un certo spessore. Justine
condusse Beatrice in una saletta adibita a biblioteca interna, utilizzata anche
come sala riunioni. “Credo di avere quello che fa per lei. Stiamo mettendo on
line tutti i risultati delle elezioni di tutti i livelli istituzionali a
partire dalla fine della Prima guerra mondiale. Per ora sono consultabili solo
nella nostra rete intranet, venga, le faccio vedere” Fu così che Beatrice
conobbe Justine, cara amica di Michel, e forse anche sua ex, e non solo
arricchì il suo già voluminoso dossier di tabelle piene di numeri, ma allargò i
suoi orizzonti in un ambito statistico-matematico che non conosceva. Justine le
illustrò con grande efficacia le tecniche per l’analisi dei flussi elettorali,
che Beatrice voleva applicare ai risultati delle elezioni precedenti e
successive al 1934, soprattutto concentrando l’attenzione su alcuni quartieri
più popolari di Parigi e alcune città dell’area metropolitana. Quando uscì
dall’archivio del Ministero, dopo aver ringraziato Justine, decise di non
tornare subito in albergo. Sostò qualche minuto sotto la Torre Eiffel, poi
imboccò il Quai d’Orsay, vide dall’altra parte della Senna il Grand Palais,
l’obelisco di Place de la Concorde, i giardini delle Tuileries, il Louvre, e
infine raggiunse l’Ile de la Cité, dove, con tristezza, vide i ponteggi che
nascondevano Notre Dame, e il cantiere in attività. A quel punto, un po’ per il
caldo, un po’ per la stanchezza, decise di prendere il metrò per tornare in
albergo. Quando Michel chiamò, si era rinfrescata e riposata, e stava decidendo
se cenare in albergo o tornare verso il centro. L’indomani sarebbero stati
disponibili 5 scatoloni di documenti ancora da classificare del periodo
1932-1934. Se aveva voglia di compilare qualche scheda mentre li esaminava, le
disse Michel, avrebbe avuto la gratitudine di tutto il direttivo dell’Istituto!
Come rifiutare una richiesta così formulata? E poi le faceva piacere ricambiare
in qualche modo l’Istituto e i suoi volontari per averle messo a disposizione
tutto quel materiale, e per il fatto che l’Istituto continuava a conservarlo e
gestirlo. Accettò quindi con piacere la richiesta esplicita di lavoro
volontario, e tutto sommato non si stupì nemmeno dell’invito a cena, che arrivò
subito dopo. Si era fatta l’idea che Michel fosse un ‘tombeur de femmes’, uno
‘sciupafemmine’ come il Commissario Montalbano diceva del suo vice, Mimì. “Ti
passo a prendere in albergo verso le 19,30. È probabile che a quell’ora non
troverò parcheggio, stai attenta al telefono”. Il passaggio al ‘tu’ tendeva a
confermare la sua ipotesi. Aveva impiegato un po’ per prepararsi per la serata.
Non voleva un abbigliamento troppo audace, ma nemmeno troppo sobrio. Dopo
qualche prova, si convinse di aver trovato i giusti accostamenti. Aveva appena
finito di truccarsi, quando suonò il telefono. “Così in anticipo?” si chiese.
Ma non era Michel, era sua figlia Silvana. “Ciao mamma, te la passi bene, vedo!
Neanche una chiamata, oggi!” “Me la passo bene, cara, sto per andare a cena col
direttore dell’Istituto storico della Resistenza…” “Nientemeno che col
direttore!” “Certo. Forse non è proprio il direttore, ma poco ci manca”
“Direttore o no, scommetto che è anche un bell’uomo! E magari un tecnocrate
alla Macron” “Sei fuori strada, cara. Fosse un tecnocrate non sarebbe
all’Istituto storico della Resistenza. E poi lo sai, i tecnocrati alle ultime
elezioni francesi, non sono andati un granché. Un po’ come voi nei sondaggi…”
Poteva sembrare una provocazione, ma alla luce di quanto aveva saputo il giorno
prima dall’altra figlia, era un’esca per vedere come reagiva. “Hai ragione,
mamma, neanche io sono contenta di come stanno andando le cose. Finalmente
hanno finito la manfrina con Casaleggio, è durata fin troppo, e ha allontanato
molti. E anch’io sono in difficoltà, una parte di noi vorrebbe presentarsi alle
elezioni come movimento, altri sono per una lista civica.” La figlia era
saltata di palo in frasca, dalla politica nazionale a quella locale ma questo
era indice di quanto si stava impegnando nel suo Comune, un comune compreso
nella fascia sotto i 15.000 abitanti, dove non è previsto il ballottaggio. “Una
lista civica senza etichette, immagino” “Certo, senza etichette, ma orientata…
per così dire. C’è chi non ama le etichette, e neanch’io, lo sai, ma l’epoca
dei ‘vaffa’ è finita, dovrebbero averlo capito tutti. E poi, se non la facciamo
con quel po’ di persone più o meno organizzate, non so proprio con chi possiamo
farla.” “Ah, ti stai impegnando in prima persona, allora!” “Sì, ci tenevo a
dirtelo, e non pensavo fosse così faticoso. Qualcuno dei nostri ancora dice
‘mai col PD’; da parte loro, non so, ma penso ci sia anche chi dice ‘mai con i
5 stelle’…” Beatrice pensò ai comunisti e ai socialisti in Europa negli anni
‘30… 40 “… così si perdono per strada quelli che avrebbero voglia di impegnarsi
per far funzionare le cose…” concluse Vani. “Ricorda un po’ la linea del
socialfascismo dei comunisti negli anni ‘30” “Boh, non saprei… sì… ricordo
quando mia sorella studiava quel periodo… forse hai ragione. Certe rigidità
vanno superate” Beatrice prendeva atto, e con soddisfazione, della maturazione
di sua figlia, e non solo dal punto di vista politico. Stava svanendo
quell’atteggiamento di ribellione totale che aveva avuto a cominciare dai 16
anni. “Comunque, non ti scoraggiare. Mostrate spirito costruttivo, vedrai che
prevarrà” “Oh, mamma, sono contenta che almeno tu non mi dai contro!” “Perché,
scusa?!? Chi è che ti ha dato contro?” “In realtà, nessuno, però Sandra è
preoccupata, dice non posso portare avanti questa cosa proprio mentre in ditta
hanno puntato su di me – anche su di me – per i nuovi sistemi grafici. Gianni
si è allontanato dal movimento, proprio adesso che io mi sto impegnando qui…”
“Gianni… forse devi coinvolgerlo in qualcosa di pratico, fargli spiegare le
regole dei consigli comunali, le responsabilità degli amministratori, cosa può
fare un consigliere, eccetera… una specie di incontro di formazione per quelli
che vorrebbero fare la lista civica. Potrebbe essere l’unico avvocato del
gruppo…” “Ma sai che è una buona idea, mi piace proprio! C’è una signora che
ora è in pensione, e che è stata ragioniera in un Comune qua vicino, lei
potrebbe spiegare la parte finanziaria… sono proprio contenta, chiamo subito
Nadia e Claudio” “Chi sarebbero? Non sono amici tuoi, sono nomi nuovi” “Nadia è
la segretaria del PD, Claudio ha organizzato con la parrocchia dei corsi di
lingua e di educazione civica per gli immigrati, non mi pare si sia mai
interessato attivamente di politica… Abbiamo già fatto un paio di riunioni,
sono tutti e due per la lista civica con noi, penso che l’idea gli piacerà”
Anche Beatrice era contenta per aver incoraggiato la figlia, e se andrà alle
riunioni vestita ‘dark’ e con qualche tatuaggio di troppo, pazienza! Michel non
chiamava, così continuò la telefonata. “Sai, oggi sono tornata alla Tour
Eiffel, non sono salita, ma è aperta al pubblico, una di queste sere tornerò.
Ricordi quando siamo stati con papà? Quando è stato, una quindicina d’anni fa?”
“Venti, mamma, era il 2001, io avevo 8 anni!” “È stato un viaggio così bello
che non mi sembravano 20 anni!” “Una meraviglia… ma allora, fai la turista, non
stai facendo una ricerca!” “Tutte e due le cose. Ieri e stamattina ho lavorato
sodo, sono stata all’Istituto storico della Resistenza e al Ministero
dell’Interno…” “Ma non ho ancora capito che ricerca stai facendo…” In quel
momento squillò il telefono sul comodino. “Oh accidenti, dovevo tenere libero
il cellulare… Devo scendere, Vani, ci sentiamo domani?” “Ho capito, il ‘tuo’
direttore…” “Non è il ‘mio’… non voglio farlo aspettare. Qui i parcheggi sono
un disastro” “Vai mamma, ci sentiamo domani” “Ciao, a domani” Rispose
rapidamente al telefono dell’albergo, si mise le scarpe e chiuse la porta
dietro di sé.
“E se a tradire fosse
stata lei?”
“Lo ritengo improbabile.
Era una tutta d’un pezzo. Avesse avuto un altro uomo, gliel’avrebbe detto. No,
nessun tradimento, secondo me. Però, era una persona terribilmente orgogliosa,
tendeva a fare sempre tutto da sola, ha sempre fatto quello che voleva, ma
fosse stata innamorata, non sarebbe sparita. Viene più da pensare che non lo
fosse, che con Jacques – Giacomo – fosse stata una infatuazione, se ci pensi
era una ragazza di 19 anni, penso non avesse nessuna intenzione di mettere su
famiglia” “E comunque non intendeva farlo con nonno Giacomo, fosse vera la tua
teoria…”. Poi, ripensando alle denunce: “Anche questi documenti delle denunce
per rissa, li hai ottenuti illegalmente?” “Non sono nemmeno documenti, sono
informazioni confidenziali, che mi ha dato un’amica che lavora alla Sureté. “Giovane e carina, immagino”
Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
7
- ANCORA PARIGI Era la mattina successiva. Beatrice entrò trionfante nell’atrio
dell’Istituto. Sua figlia Silvana –Vani-, si era alzata alle 5 per andare a
casa della madre a cercare la scatola, poi era andata alla sua ditta un’ora e
mezza prima del solito per passare le foto allo scanner professionale che usava
lì e per ottimizzare l’immagine. A Michel, che quella notte quasi non aveva
chiuso occhio, mostrò subito il tablet con la foto di un corteo, dove alcune
persone reggevano uno striscione con la scritta “UNITÉ UNITÉ”. A una delle
estremità dello striscione, vicino al fotografo, un uomo e una donna, pieni
della bellezza della gioventù, invece di guardare avanti, si guardavano e si sorridevano
a vicenda. “Questo è tuo nonno?” chiese Michel con gli occhi lucidi, indicando
l’uomo. Ma già sapeva la risposta. “E quella non è mia nonna Beatrice!”,
aggiunse lei per suggellare la scoperta. Michel tacque un lungo istante, poi,
da sotto il bancone della reception, estrasse una fotografia incorniciata. La
porse a Beatrice, e con un sospiro carico di significati, disse: “… e questi
sono i miei nonni, Charles e Sandrine. La foto è del 1948. Il ragazzo è mio
padre”. Beatrice guardò la fotografia con attenzione. La somiglianza fra la
donna della foto di Michel, e la donna che reggeva lo striscione nella sua, era
impressionante. Erano passati 14 anni, ma era proprio lei, era Sandrine. “È
l’unica?” chiese Michel. “No, scorri, ce n’è un’altra”. Michel visualizzò la
foto successiva. C’erano solo due figure in questa seconda fotografia, due
figure molto vicine, e nessuna certezza che i loro volti fossero proprio quelli
di Jacques e Sandrine. L’immagine era rovinata, come se qualcuno – nonno
Giacomo sicuramente – avesse voluto accartocciare la foto per buttarla via, e
poi ci avesse ripensato. Dopo aver sentito le ipotesi di Michel della sera
prima, ora Beatrice era certa che la donna della seconda foto non fosse la sua
nonna omonima: quello che poteva intuire dal taglio dei capelli e dalla forma
della bocca, gli elementi meglio conservati, le davano la certezza che non fosse
la futura moglie di nonno Giacomo, soprattutto ora che aveva visto il volto di
Sandrine. Michel tornò a guardare la foto precedente, poi restituì il tablet a
Beatrice. “Me la mandi? Sulla mail, se ti viene comodo.” In pochi secondi
Beatrice inoltrò i due files alla casella di posta che già conosceva. Stettero
in silenzio qualche momento. “Ah, la foto della manifestazione è sicuramente
della fine di giugno del 1934, mia figlia è riuscita a leggere sul retro il
timbro del laboratorio che l’ha sviluppata: c’era anche una data impressa col
datario dei primi di luglio.” “Poco prima del patto di unità d’azione fra la
SFIO e il PCF…” disse Michel. Quel suo commento serviva a stemperare l’emozione
del momento, certo non a intavolare una dissertazione storica. In effetti
aggiunse: “Certamente non sapeva di essere incinta, forse non lo era ancora.”
Beatrice gli propose un caffè. Non alla macchinetta, naturalmente. Michel uscì
dal bancone commentando: “Non è l’ora per un armagnac, ma ci starebbe proprio!”
Arrivati al bistrot e rinfrescate le idee con due caffè freddi, Michel chiese:
“Raccontami qualcosa di tuo nonno Giacomo.” E Beatrice raccontò.
Fu così che Beatrice
riprese le sue ricerche con rinnovato piacere, e Michel trovò una persona con
cui poter scoprire aspetti del passato di quella parte della sua famiglia,
della quale, fino a due giorni prima, ignorava l’esistenza. Anche per Beatrice,
tutto sommato fu la stessa cosa. Durante quei giorni di fine luglio, non passò
sera che non andassero a cena insieme, a volte con amici e amiche di Michel, a
volte da soli. Facile immaginare quale fosse l’argomento di conversazione di
quelle serate! Il motivo della fine della storia fra Sandrine e Jacques, fu
oggetto di mille ipotesi, che rimasero tali. Beatrice sentì più volte la figlia
per telefono, ma decise di non rivelare nulla fino al suo rientro in Italia,
voleva farlo di persona. L’importante è che quando Michel avrebbe conosciuto le
figlie di sua cugina – la sua unica cugina – loro sarebbero state già ben
informate. Fu durante una di quelle telefonate, che Sandra rivelò alla madre
che la sorella, non solo era riuscita a mettere insieme un gruppo di persone
disposte a presentarsi alle elezioni del loro Comune, ma che – forse proprio a
causa del fatto che più di tutti si fosse impegnata con quello scopo – avevano
deciso che la candidata Sindaca sarebbe stata proprio Vani. Dapprima si stupì
di tanta celerità: era abituata al fatto che le decisioni politiche avevano
lunghi tempi di maturazione: riunioni, incontri, assemblee, dibattiti,
mediazioni… Si rese subito conto che la pandemia e l’avvicinarsi della scadenza
elettorale, costringeva tutti ad accelerare i tempi. E poi, sospettava che
alcune delle informazioni che riceveva dalle figlie, in realtà non fossero
proprio “fresche di giornata”: a maggio e giugno ci doveva essere stato tutto
un lavorio, del quale si erano ben guardate di metterla al corrente. Quando
Michel l’accompagnò alla Gare de Lyon, Beatrice provava un filo di malinconia,
ma lo stato d’animo dominante, era l’euforia. Era felice per aver trovato un
parente che non sapeva di avere, felice di avere tante cose in comune con lui,
felice per le intense emozioni che quel viaggio in Francia le aveva dato.
Michel aveva ripreso il suo abituale modo di fare compassato, ma anche per lui,
qualcosa era cambiato. Si erano accordati per una visita di Michel in Italia in
occasione del ponte di Ognissanti, sperando che almeno le regole sui Green Pass
non sarebbero cambiate. Avrebbero preferito entrambi anticipare la visita, ma
alla fine decisero che quello era il momento migliore: dopo le elezioni, dopo
l’inizio dell’anno accademico e dopo la ripresa dell’attività nelle scuole.
Quando fu l’ora di salire sul treno, si abbracciarono, in barba alle norme
antipandemia.
8 – DI NUOVO A CASA Era
la fine di agosto, e l’estate era a un punto di svolta, non solo meteorologico.
La strana estate 2021. A luglio, nel mondo molte cose sembravano mettersi per
il meglio. Poi era ancora arrivata la quarta ondata del COVID, il disastro
dell’Afganistan, gli incendi in mezza Europa, anzi, in mezzo mondo, la
disperazione ad Haiti… Le giornate immediatamente successive al rientro di
Beatrice, non lasciarono un attimo di tempo a nessuno. Erano tutti pieni di
impegni: Beatrice, alla stesura della relazione che doveva consegnare al suo
tutor, il Prof. Castiglioni; Vani nel mettere insieme la lista e il programma
per le elezioni nel suo Comune; Sandra e il marito erano andati per un po’ al
mare, poi erano tornati al lavoro, e in attesa della ripresa della scuola, si
barcamenavano con baby parking e permessi per seguire i figli. Il poco tempo
che ebbero tutti quanti per stare assieme, fu per parlare della scoperta di
avere un parente francese, del quale ignoravano l’esistenza. Strana estate, quella
estate 2021. Drammatica, per molti aspetti. Beatrice si sentiva quasi in colpa
per il fatto di sentirsi felice. Il Prof. Castiglioni era rientrato dalle
ferie, e aveva cercato Beatrice e gli altri studenti del gruppo di lavoro sul
Fronte popolare; intendeva trovarsi entro breve tempo, per fare il punto sulla
ricerca. Qualcuno era ancora via, ma Ricky, Valerio e Fabrizio erano a Torino,
e tramite il gruppo whatsapp si accordarono per trovarsi a Palazzo Nuovo
qualche giorno dopo. Beatrice lavorò in ogni momento libero alla sua relazione,
e riuscì a completarla il giorno stesso previsto per la consegna. Letta,
riletta e rilegata, verso metà pomeriggio si avviò verso l’Università. Era una
bella giornata, e Beatrice intendeva andare a piedi. Poi cambiò idea, voleva
poter andare rapidamente da Sandra, se lei glielo avesse chiesto. Castiglioni
era in ritardo, fuori del suo ufficio si ritrovarono in quattro. Scoprì che
Valerio e Ricky erano andati qualche giorno in montagna insieme. “Ci siamo
anche divertiti, Viarenghi, non credere che abbiamo solo parlato di politica!”
disse scherzosamente Valerio, memore delle discussioni prima della pandemia.
“Ci credo, ci credo, ragazzi” “E tu, sei andata in Francia a cercare
materiale?” Beatrice accennò brevemente alle sue ricerche, non disse di aver
trovato un ‘cugino’ che non sapeva di avere, però raccontò di aver conosciuto
un ingegnere che faceva il volontario presso un Istituto storico sulla
resistenza francese, che teneva molto al fatto che la resistenza fosse qualcosa
di tutti, destra e sinistra, progressisti e conservatori. Valerio ascoltava, un
po’ sul ‘chi vive’. “Sarà, però qui sembra che la resistenza l’abbiano fatta
solo i comunisti, a sentire voi di sinistra sembra sia illegale essere di
destra. “Non è vietato essere di destra, è vietato essere fascisti o nazisti”
affermò Ricky, lapidario come sempre. “Però voi trattate da fascisti chiunque
manifesti un pensiero diciamo così ‘conservatore’…” “E’ una mia opinione
–intervenne Beatrice- ma io trovo che la destra italiana, anche quando professa
ideali democratici, strizza l’occhio alla destra radicale, a CasaPound, a
settori della società dove il comportamento violento o mafioso è normale. E non
credo si limiti a strizzare l’occhio…” “Secondo me, con gli ambienti che dice
Viarenghi, così come con le tifoserie violente di certe squadre di calcio,
tanto per dirne un’altra, ci sono collegamenti veri a propri, magari indiretti,
ma ci sono” aggiunse Ricky. “E’ questo che non rende la destra credibile
–proseguì Beatrice; è questo che rende possibile una involuzione della nostra
società e del nostro stato. Non penso a una involuzione violenta e autoritaria
nel caso di vittoria della destra, penso a elementi di dittatura sostanziale
all’interno di un quadro formalmente democratico…. Controllo politico della
magistratura, dei media… Al nostro paese è mancato un De Gaulle, per dirla con
un esempio. È mancato, e all’orizzonte non si vede. A meno che si voglia
paragonare Berlusconi a De Gaulle!” “Neanche io arrivo a tanto, Viarenghi!” rispose
Valerio. “Però molte sue idee erano innovative e convincenti, quelle della
sinistra, no” “Questo è un pensiero legittimo, ma da vagliare a fondo” concluse
Beatrice. Nel frattempo, arrivò il Prof. Castiglioni, scusandosi del ritardo.
Entrarono tutti nel suo piccolo ufficio. Li squadrò a uno a uno, poi si tolse
la mascherina, e senza dire parola, invitò gli altri a fare altrettanto mentre
apriva la finestra. I quattro studenti (tre ragazzi e una prof in pensione)
posarono le loro relazioni sulla scrivania. “Bene, bene” esordì. “Queste me le
leggo poi. Ora datemi il senso di cosa avete fatto.” Ognuno fece un breve
riassunto del lavoro fatto: Ricky sulle sue ricerche relative alle politiche
sociali del Fronte popolare, Valerio sulla politica estera e in particolare sul
mancato intervento in favore della Repubblica spagnola, Fabrizio sull’economia
e sulla finanza pubblica. Anche Beatrice riassunse il lavoro svolto. “La mia
intenzione era di trovare nuova documentazione sul periodo dei tumulti, non
solo quelli di febbraio, ovviamente, e sulla risposta popolare alle
manifestazioni della destra. Documentazione che consentisse di confermare o
smentire un’ipotesi, cioè che il timore di una involuzione autoritaria e
razzista in Francia, fosse molto più diffuso fra la popolazione che fra i
dirigenti politici”. “E cosa ha trovato di interessante? E a quale conclusione
è giunta?” “Secondo quello che ho trovato, era proprio così. È evidente che per
un quesito del genere, è difficile trovare prove di tipo diretto, però ne ho
trovate alcune anche molto interessanti di tipo indiretto. Ad esempio, la
trasformazione del partito radicale. Era un partito con una fisionomia non ben
definita, c’erano parecchi dirigenti che erano dichiaratamente collocati con i
partiti di destra, la destra istituzionale, non apertamente simpatizzante per
Hitler, o almeno, non ancora. Molti dirigenti radicali, dopo le manifestazioni
di febbraio, si avvicinarono apertamente alla sinistra, in qualche modo
anticiparono un’idea attuale, l’idea di un polo di centro sinistra. Ho anche
trovato numerosi ordini del giorno di Consigli comunali, anche di piccolissimi
Comuni, che mettevano l’accento sull’esigenza di contrastare il nazismo. “E
perché questo sarebbe importante?” “Perché siamo abituati a pensare che le
“svolte” importanti nascano dall’alto, dai vertici nazionali dei partiti, nelle
grandi istituzioni, nei grandi Comuni. Il fatto che perfino nei giorni precedenti
la manifestazione del 12 febbraio, nei piccoli Comuni ci fosse un fiorire di
iniziative, dibattiti pubblici, ordini del giorno, eccetera, dimostra che la
diffusione fra la popolazione della nascita di questo sentimento era nato in
anticipo. Nel ’66, Antoine Prost sostenne che il Fronte popolare nacque nel
febbraio, ma fra le masse, non ancora fra i politici. Non ricordo le parole
esatte…” “Il senso era quello, comunque. Continui…” “…Beh, in conclusione, si
può dire che la risposta popolare anticipò la nascita del Fronte popolare,
proprio perché anticipò le organizzazioni dei partiti, e in qualche modo le
costrinse ad avvicinarsi” “Mi sembra interessante. Altro?” “Ho trovato verbali
di riunioni di organizzazioni di base che testimoniano questo fatto. La
giornata del 12 febbraio, fu veramente un catalizzatore. La partecipazione
degli iscritti ai partiti non fu importante, tale e tanta fu la partecipazione
dei semplici cittadini. Anche i giornali indipendenti dell’epoca tendono a
confermarlo. Purtroppo, non fu ampia la partecipazione delle donne, ma siamo
ancora nel 1934… La risposta popolare fu anche un catalizzatore per le
posizioni dei comunisti, all’epoca allineati alla linea suicida del
“socialfascismo” della Terza Internazionale. Non a caso, la capacità del PCF di
incidere sui contenuti di questi ordini del giorno è molto bassa. Il segretario
regionale del PCF del Drôme
Ardèche
lo riconosce lucidamente in un rapporto del 15 febbraio. Poi, cambia tutto dopo
i rapporti di Dimitrov e Togliatti a Mosca, al 7° congresso della Terza
Internazionale, ma ormai siamo nel luglio dell’anno dopo. È comunque da
ricordare che i comunisti diedero un grande contributo all’antifascismo e alla
liberazione nel 1944, un contributo organizzativo e di uomini, e purtroppo
anche in termini di carcerati, torturati e uccisi, ma sulla base di un processo
e di un percorso nato su basi che non erano le loro”. “Interessante anche
questo, in un certo senso è uno dei noccioli della questione” “L’anno prossimo
potremmo approfondire la liberazione di Parigi…” “Così ha la scusa per un altro
viaggio… Ma cosa ha trovato a Parigi, Viarenghi?” “Oh, è stata una bella
esperienza, un giorno o l’altro glielo racconto!” “Bene ragazzi, si sta facendo
tardi, e in realtà siete ancora tutti in ferie…” Il cielo si era fatto scuro,
si salutarono e i ragazzi se ne andarono in fretta e furia, chi in bicicletta,
chi a prendere l’autobus. Beatrice indugiò una decina di minuti parlando ancora
un po’ col docente degli archivi consultati a Parigi; quando lasciò il suo
ufficio, iniziò a piovere a dirotto. Era ormai quasi all’uscita, e stava per
lanciarsi sotto la pioggia per raggiungere l’auto, quando si sentì chiamare:
“Professoressa Viarenghi…Beatrice…” Era Bassanelli, che si avvicinava a passo
veloce. Fu lieta di rivederlo, non fosse stato per la pandemia, lo avrebbe
certamente incontrato in facoltà. In attesa che la pioggia si calmasse, ebbero
modo di parlare un po’. “Accidenti a questa pandemia, è più di un anno che non
la vedo “Ha ragione, ci siamo incrociati prima del lockdown, poi più niente.
Castiglioni mi ha detto delle sue ricerche a Parigi…” “Sì, ammetto che in parte
è stata una scusa per fare un viaggio” “E io ammetto che ho provato una certa
invidia nei confronti del collega, avrei preferito se fosse andata a Parigi per
il periodo carolingio…” “Come scusa per un viaggio, forse sarebbe stata
altrettanto valida…”. Poi, guardando la scalinata davanti l’uscita, battuta
dalla pioggia, soggiunse: “Non è più come prima, credo che però andrà avanti
ancora un bel po’” “Ha ragione, dove ha l’auto?” chiese Bassanelli, estraendo
un ombrello retrattile dalla cartella. “In Corso San Maurizio, verso Corso
Regina, da questo lato” “Anch’io”, disse lui, “ma dal lato opposto.
L’accompagno.” Aprì l’ombrello e iniziarono a scendere la scalinata.
Inaspettatamente, Beatrice sentì Bassanelli intonare una canzone a lei ben
nota. “Il pleuvait fort, sur
la grand route Elle cheminait, sans parapluie…” Gli lasciò finire
la strofa, poi non potè far altro che esprimere Il suo apprezzamento: “Che
conoscesse bene il francese, lo sapevo, non sapevo che fosse così intonato. E
che fosse un fan di Brassens!” “Oh, mia madre era una cantante, non divenne mai
famosa, ma per un certo periodo lo fece come secondo lavoro. Fu grazie a
quello, che i miei poterono farci studiare. Me e mio fratello, intendo.” “È la
prima volta che sento qualcosa di così personale che la riguarda, fra gli
studenti è rinomato per la sua riservatezza, la sua vita privata è una specie
di buco nero” Bassanelli rise di cuore. “Sì, non ho mai parlato di me e della
mia famiglia, con gli studenti… i ragazzi, intendo. Lei, anche se non insegna
più, in fondo è una collega.” Avevano raggiunto Corso San Maurizio, e
svoltarono subito a sinistra. “Forse le sembrerò audace, o perfino sfacciato”
proseguì lui, “ma non vorrei che questo incontro sotto la pioggia finisse come
nella canzone”. “Vedo che conosce bene la canzone… “Quella frase sospesa lo
spinse a proseguire. “Allora, se stasera è libera, la inviterei a cena. Ha
preferenze? Vegetariana? Pesce?” “Mi affiderei al suo gusto. Mi faccia solo
fare una telefonata” Si ripararono sotto un balcone, e Beatrice chiamò Sandra
per sapere se avesse bisogno di lei per tenere i ragazzi e la piccola Lucilla
in particolare, ricordando che il marito era fuori città. “Sono a posto, mamma,
Vani non poteva, così Gianni è uscito prima dal lavoro. Anche lo zio deve fare
la sua parte… era contento anche lui…” “Allora sono libera, ci sentiamo per
domani?” “Sì, domani sono tutti fuori Torino o impegnati, e sicuramente io farò
tardi.” Si accordarono per l’indomani e si salutarono. “Anch’io sono stato
molto impegnato come nonno, fino a tre anni fa. Poi mia figlia si è risposata…
Ha trovato proprio un bravo marito, almeno la seconda volta le è andata bene!
Ogni tanto faccio ancora il nonno, ma molto meno di prima.” “E la nonna? ...”
chiese Beatrice. “Ci siamo separati una decina di anni fa, è tornata in
Martinica, dove abitano ancora i suoi genitori. Era naturalizzata americana, ma
non si è mai adattata ai ritmi di vita occidentali, né a quelli americani, né
ai nostri. Ha resistito per nostra figlia fin troppo a lungo, anche quando tra
noi era finita. Ma questa sera soddisferò la sua curiosità da studentessa, se
le fa piacere…”, aggiunse, sornione. “Non vedo l’ora!” replicò Beatrice. E
garantisco la massima riservatezza. Anch’io, comunque, ho qualcosa di
avvincente da raccontare sulla mia famiglia…” “Sulla riservatezza, ci contavo.
Che ci fossero anche risvolti avvincenti, era oltre le mie speranze!” Nel
frattempo, erano arrivati all’auto di Beatrice. Prima di salire, riparata alla
meglio da un ombrello di fortuna, lei gli diede l’indirizzo e si avviò verso
casa, con un senso di leggerezza che non provava da tempo. Era un po’ come
l’inizio di un film. Provava a immaginare se l’avrebbe invitata a Sète al
centenario della nascita di Georges Brassens, visto che anche lui era un fan…
“Boh – pensò alla fine vediamo come va,
se non mi invita lui, lo inviterò io!” Non dovendosi occupare della cena,
dedicò un po’ più di tempo a prepararsi. Ebbe un istante dejà vu, quando cercò
di abbinare gli abiti in un modo che il suo look non fosse né troppo sobrio, né
tropo audace. Scelse con cura anche gli accessori: cintura, scarpe, borsa… poi
si rifece il trucco, e alla fine decise di sentire le figlie. Prima chiamò
Sandra, per aggiornarla sull’evoluzione della serata. Ne approfittò per
chiederle cosa dicesse di Bassanelli quell’amica che si era laureata con lui.
“Oh, tutte le ragazze erano innamorate di lui” disse Sandra “ma che io sappia è
un tipo a posto. All’epoca era sposato con una americana, non ti so dire di
più. Anche la mia amica ne parlava bene, come di un buon insegnante, di una
persona empatica, comunque non il tipo del dongiovanni…” Soddisfatta di quanto
riferito da Sandra, subito dopo chiamò l’altra figlia. “Ciao mamma, stasera sono nelle curve. Ieri
abbiamo fatto la riunione per la presentazione della lista, e andiamo a
festeggiare” “La lista e la candidata sindaca, immagino! Ci sarà anche Gianni?”
“Certo… Lui era in dubbio se venire, gli altri sarebbero stati delusi se non ci
fosse stato! Non me l’aspettavo, è stato uno del PD a insistere per farlo
venire. Abbiamo fatto un solo incontro con lui, ma sono stati tutti contenti.”
“Come pensi andrà, ce la farete?” “Qui sono tutti carichi, non vedono l’ora di
iniziare la campagna elettorale… ARRIVO, GIANNI!... “La sentì dire ad alta
voce. “Fortuna che ero già pronta, sono venuti a prenderci in anticipo. DAI,
ANCORA UN MINUTO! ...” “E dimmi di Torino, cosa dicono i tuoi?” “Roma e Torino
creano molta incertezza. Il fatto di essere avversari il 3 ottobre e doversi
forse sostenere due settimane dopo, è qualcosa di surreale” “E Gianni, cosa dice?”
“Ah, lui dice che gli italiani votano come cavolo gli pare, non si fanno
pilotare dai partiti. Se il nostro candidato esce di scena, lui dice che al
ballottaggio buona parte dei nostri voteranno PD, checché ne dicano Grillo
& C. Solo un anno fa non sarebbe stato così. Se il PD non va al
ballottaggio, lui dice che buona parte dei loro elettori voteranno il nostro.”
“Un po’ come in Francia, il 12 febbraio 1934…” “SBRIGATI, VANI! Sei già stata
eletta, che ti fai desiderare in questo modo?”. Questo era Gianni, con la sua
abituale ironia. “Perché? Cos’è successo il 12 febbraio del ’34?” “Vai a
festeggiare, te lo racconto un’altra volta”.
MARCO CIGNETTI
Marco Cignetti è un commercialista che si è sempre interessato di letteratura, politica, storia, cinema e
varia umanità. Classe 1956, per il 50% si sente cittadino del mondo, per il 50% italiano e per il restante 50% torinese, anche se abita in provincia. Nonno di tre nipoti e zio o prozio di altri, cerca di emularli, smanettando sui social: qualche volta ci riesce, a volte fa pasticci, ma non rinuncia.
Vorrebbe scrivere e girare il mondo, prima che sia il mondo a dare il giro.
NOTE
1. L’Istituto storico
della resistenza, è una invenzione, In Francia vi sono numerosi istituti,
archivi e centri culturali sulla storia francese, e anche sul periodo fra le
due guerre e sulla resistenza; non risulta ve ne sia uno con questa precisa
denominazione.
2. Lo storico Gilles
Vergnon esiste realmente, e insegna davvero all’Università di Rennes. Si è
occupato in modo specifico della storia francese più recente. In particolare, è
reperibile un suo lavoro dal titolo: “L’antifascisme en France – de Mussolini à la Le Pen” Il
testo è liberamente scaricabile dal sito
https://books.openedition.org/pur/103880 Questo racconto è molto debitore del
lavoro di Vergnon; alcuni documenti “trovati” da Beatrice, in realtà erano già
stati trovati dagli storici e utilizzati in parecchie ricerche, compreso il
lavoro in argomento. Il lavoro di Vergnon non risulta ancora tradotto in
italiano, ed è un vero peccato.
3. La sottovalutazione in
specifico della giornata del 12 febbraio 1934, è una mia opinione; pur non
essendo uno storico, ci tenevo ad esprimerla. In varie ricerche su internet, in
vari testi storici, anche nelle trasmissioni di argomento storico curate dalla
RAI, è più facile trovare riferimenti alla manifestazione delle destre del 6
febbraio che di quelle del 9 e del 12. I riferimenti alle “tumultuose giornate
del febbraio ‘34” sono comunque numerosi, segno dell’importanza di quanto
accadde in quei giorni.
4. Chi fosse interessato
ad ascoltare la canzone “Le
parapluie” di Georges Brassens, la può trovare su YouTube. La
musica italiana d’autore è fortemente debitrice di Brassens: De André,
Farassino, Svampa e molti altri, hanno tradotto parecchie sue canzoni.
5. Vorrei qui ringraziare
l’amico Silverio Novelli per le indicazioni bibliografiche e documentali
fornite, e mia nipote Benedetta per la trascrizione in word di numerose pagine
scritte a mano; un ringraziamento anche a tutti coloro che mi hanno aiutato nel
trovare imprecisioni, errori, refusi, incongruenze. Imprecisioni ed errori
ancora presenti, sono unicamente mia responsabilità.
[1]
4Avrei
voluto, come in un diluvio, veder cadere senza fine la pioggia per guardarla
sotto il mio rifugio 40 giorni, 40 notti
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