Parigi 12 febbraio 1934 di Marco Cignetti - parte II ( storia&narrativa)

Marco Cignetti

 

Parigi, 12 febbraio 1934

Un episodio del passato – Un insegnamento sempre attuale

Seconda parte




5 – PARIGI! La seconda giornata di Beatrice a Parigi iniziò verso le 7, come molte sue giornate a Torino. Indossò abiti comodi, scese nel salone ristorante per la colazione, poi tornò in camera per prepararsi e uscire. In verità, doveva ancora decidere come organizzare la giornata. Una serie di impegni per i giorni successivi era già definita, con prenotazioni tramite posta elettronica o telefonate, ma per quel giorno aveva preferito lasciarsi aperte tutte le possibilità, compreso quello di fare la turista col naso per aria dal mattino alla sera. Prima di entrare nella doccia, accese il tablet e avviò una delle sue playlist, quella della musica d’autore in lingua francese. Amava anche altri generi musicali: cantautori italiani, gruppi inglesi e americani, jazz, classica… però Juliette Greco, Georges Brassens e Jacques Brel le sembrarono più adatti per quel momento. Uscì dalla doccia mentre Brassens iniziava una delle sue canzoni preferite, “Le parapluie”. Il pleuvait fort sur la grand-route Elle cheminait sans parapluie J'en avais un, volé, sans doute Le matin même à un ami… Il cellulare suonò a metà della prima strofa. Era Michel, si scusava per l’orario insolito, ma voleva informarla che l’autorizzazione sarebbe arrivata solamente in serata. Fu molto delusa. Doveva ancora organizzarsi la giornata e, tutto sommato, Michel l’avrebbe rivisto volentieri. Stava accarezzando l’idea di tornare in Istituto e farsi consigliare da Michel su quale settore di documenti esaminare. Fu Michel a toglierla dall’imbarazzo. Pioveva forte sulla strada maestra, lei camminava senza ombrello. Io ne avevo uno, rubato senz’altro quel mattino stesso a un amico. “Se permette un suggerimento, ho una cara amica che lavora al Ministero dell’interno, potrebbe metterle a disposizione i risultati delle elezioni del 1932 e del 1936, ad un livello di dettaglio non disponibile nelle pubblicazioni ufficiali, così potrà portare avanti quella parte del suo lavoro di cui mi ha parlato ieri” Ne fu entusiasta, era una delle direzioni verso cui intendeva orientare la sua ricerca, e in più le consentiva di abbinare “quella” camminata in città, che pensava di fare, anche se non aveva ancora deciso il giorno. Il ritornello della canzone venne coperto dalla conversazione, ma Michel sentì distintamente la fine della seconda strofa: J'aurais voulu, comme au déluge Voir sans arrêt tomber la pluie Pour la garder, sous mon refuge Quarante jours, quarante nuits.[1] “Ah, Brassens, uno dei miei preferiti!” esclamò Michel. “Stavo per chiederle se conosce Brassens, ma ormai so già la risposta” “Certo che lo conosco, molti francesi lo conoscono solo di nome. Affettuosamente, i suoi estimatori lo chiamano “Tonton Georges”, come dire “Zio Giorgio” … “lo sa che quest’anno è il centenario della nascita?” “Uh, non lo sapevo! Chissà quante iniziative in programma…” “Moltissime: Sète, la sua città natale, è tutta un evento, hanno iniziato a giugno, il clou sarà a ottobre. Se il COVID non farà brutti scherzi… a proposito di COVID, al Ministero sono molto rigidi su mascherine, pass, eccetera, si prepari” Diede i riferimenti necessari per contattare la sua amica al Ministero e accordarsi sull’orario, promettendole che l’avrebbe chiamata subito per anticiparle la telefonata di Beatrice; si salutarono, proprio mentre Brassens cantava il finale della canzone: Il a fallu q’uelle me quitte Après m'avoir dit grand merci Et je l’ai vue toute petite Partir gaiement vers mon oubli.

 

L’amica di Michel le aveva dato appuntamento per le 11, quindi aveva una parte della mattina a disposizione. Così, rifece il percorso del corteo (o dei cortei?) che la mattina del 12 febbraio 1934 avevano attraversato il centro della città, ripercorrendo il viale dove secondo le cronache, avvenne il famoso incontro fra comunisti e socialisti. Sul punto, rifletteva mentre si avvicinava a Rue des Pyrénées, non tutte le fonti danno versioni univoche. L’Excelsior e il Petit Parisien, due giornali che non ci sono più, davano versioni simili fra loro, ma diverse, ad esempio, da quelle che davano l’Humanité e Le Populaire (comunista il primo, socialista il secondo). Secondo i primi, il punto d’incontro dei socialisti è all’incrocio fra Cours de Vincennes e Rue des Pyrénées, che inizia a popolarsi fin dal mattino. Il Petit Parisien riferisce che un corteo di 5000 aderenti al PCF si ritrova alla Portes de Vincennes alle 14, e di fatto conferma che i socialisti si sono dati appuntamento all’angolo fra Rue Marsolan e Rue des Pyrénées. Ma nemmeno sul luogo d’incontro, le versioni coincidono perfettamente. E poi, sembra ci fosse una grande presenza di curiosi e di semplici cittadini, non legati a nessun partito. “Ma i cortei erano proprio due? si chiese Beatrice. E i radicali, che in Parlamento avevano una importante rappresentanza, pur avendo perso consensi alle elezioni del ’32, non c’erano?” Quando arrivò al Cours de Vincennes, ebbe la conferma che i cortei potevano, almeno all’inizio, essere proprio due. Se ne andò come niente, dopo grandi ringraziamenti, e io la vidi, piccina piccina, partirsene allegramente verso il mio oblio. Il corso era costituito da due ampie carreggiate divise da una cordonatura, a tratti arredata a verde, della quale avevano parlato anche le cronache dell’epoca. E poi, c’erano anche due file di alberi che delimitavano due controviali. Sulla loro esistenza nel 1934, però, non aveva trovato riscontri. Sarà stato da quei controviali, con gli altoparlanti al massimo, che i comunisti, quelli più rigidamente “fedeli alla linea”, cercarono di attrarre a sé i socialisti, come riferiva Wikipedia francese? Sull’atteggiamento dei comunisti dell’epoca, non aveva dubbi. La linea del ‘socialfascismo’, cioè quella posizione secondo la quale si era vicini alla rivoluzione mondiale, e quindi i socialisti, che non ci credevano, erano posti sullo stesso piano dei fascisti, era una posizione sbagliata, dettata per convenienza da Stalin e dalla Terza internazionale. Proseguì verso Place de la Nation, inebriata dall’aria fresca del mattino e dalla sensazione di ripercorrere i passi della Storia. Tornando a riflettere sulle testimonianze trovate sui giornali dell’epoca, trovava paradossale –ma solo fino a un certo punto – che fossero proprio l’Humanitè e il Populaire, a non dare risalto al fatto che la spinta all’unità d’azione era venuta ‘dal basso’. Aveva forse ragione lo storico Vergnon, a sostenere che di quell’incontro si fosse tramandata una ‘costruzione memoriale’, una specie di mitizzazione, quasi una leggenda? O forse era invece vero che fu il peso degli “apparati” dei partiti, che controllavano i rispettivi organi di stampa, a non voler mettere in risalto questo aspetto della manifestazione? Questi pensieri la disturbavano. Se era vero che la memoria collettiva aveva ingrandito alcuni aspetti di quella giornata storica, come spiegare la diffusione di quello spirito unitario in tutta la Francia e non solo nella capitale? Come spiegare il fiorire di manifestazioni, comitati antinazisti, ordini del giorno unitari - perfino nei piccoli comuni di campagna – nella settimana stessa e in quelle successive? Come spiegare il cambiamento della linea politica dell’Internazionale comunista solo pochi mesi dopo? E che dire 36 allora del patto di unità d’azione di luglio, la successiva nascita del Fronte popolare e la sua vittoria alle elezioni del ’36? Quando arrivò a Place de la Nation, provò una grande emozione, quasi come quella volta in California, con Mario e le bambine, quando arrivarono al Grand Canyon. Era veramente uno spazio enorme, immaginarlo pieno di gente che manifestava contro Hitler e per l’unità d’azione, la entusiasmava. Persone che non volevano che la Francia facesse la stessa fine dell’Italia, persone che avevano capito ciò che non avevano capito le classi dirigenti Europee (a cominciare dai Chamberlain e Daladier), cioè la pericolosità di Hitler e dell’ideologia nazista. Si concesse ancora qualche minuto per abbracciare la piazza con uno sguardo, poi proseguì verso gli archivi del Ministero.

 

La ‘cara amica’ di Michel si chiamava Justine, era più giovane di Michel, ed anche molto bella. E come dubitarne?... pensò. Era anche particolarmente gentile, e si interessò subito alle sue ricerche. Beatrice cercò di chiarire subito l’oggetto della ricerca, e il suo punto di vista. “La mia ipotesi è che alcuni storici tendano a sottovalutare l’importanza della manifestazione del 12 febbraio. Pensi che Wikipedia italiana non ne parla, né alla voce “Fronte popolare”, né alla voce “Leon Blum”. A parte questo, vorrei capire veramente fino a che punto, in quegli anni, la gente, gli attivisti di base dei partiti, dei sindacati, gli intellettuali, fossero più avanti dei loro dirigenti, e se quella giornata ha influenzato in qualche modo le elezioni del ‘36.” “È veramente un argomento che merita approfondimenti. Per noi parigini, è stato un momento importante della nostra storia. Ciò nonostante, a Parigi non c’è una strada intitolata alla giornata del 12 febbraio 1934, c’è nel Comune di Malakoff, appena fuori della città” “Sì, l’ho scoperto facendo le mie ricerche da casa…”  “Comunque, è interessante vedere che a volte, nella storia, il popolo ha una sensibilità politica superiore a quella delle classi dirigenti. Altre volte capita il contrario, naturalmente… non credo esista una legge storica al riguardo” “Certo, non sono una populista, non ho mai pensato che il popolo possa avere sempre ragione”. Per un attimo, Beatrice temette di aver dato quell’impressione. “Però mi affascina capire perché a volte questo avviene. Ma mi tolga una curiosità: Michel mi ha detto che suo nonno è stato uno storico importante, lei ha scelto una strada completamente diversa…” “In un certo senso, no. Mio nonno, ma anche mia madre (anche lei era insegnante di storia) cercavano la ‘verità’… la ‘verità storica’ ovviamente, un po’ come lei… Anche io cerco la verità, solamente con altri strumenti, la cerco con la statistica!” Fu colpita da questa osservazione, che poteva sembrare una battuta per chiudere l’argomento, ma aveva comunque un certo spessore. Justine condusse Beatrice in una saletta adibita a biblioteca interna, utilizzata anche come sala riunioni. “Credo di avere quello che fa per lei. Stiamo mettendo on line tutti i risultati delle elezioni di tutti i livelli istituzionali a partire dalla fine della Prima guerra mondiale. Per ora sono consultabili solo nella nostra rete intranet, venga, le faccio vedere” Fu così che Beatrice conobbe Justine, cara amica di Michel, e forse anche sua ex, e non solo arricchì il suo già voluminoso dossier di tabelle piene di numeri, ma allargò i suoi orizzonti in un ambito statistico-matematico che non conosceva. Justine le illustrò con grande efficacia le tecniche per l’analisi dei flussi elettorali, che Beatrice voleva applicare ai risultati delle elezioni precedenti e successive al 1934, soprattutto concentrando l’attenzione su alcuni quartieri più popolari di Parigi e alcune città dell’area metropolitana. Quando uscì dall’archivio del Ministero, dopo aver ringraziato Justine, decise di non tornare subito in albergo. Sostò qualche minuto sotto la Torre Eiffel, poi imboccò il Quai d’Orsay, vide dall’altra parte della Senna il Grand Palais, l’obelisco di Place de la Concorde, i giardini delle Tuileries, il Louvre, e infine raggiunse l’Ile de la Cité, dove, con tristezza, vide i ponteggi che nascondevano Notre Dame, e il cantiere in attività. A quel punto, un po’ per il caldo, un po’ per la stanchezza, decise di prendere il metrò per tornare in albergo. Quando Michel chiamò, si era rinfrescata e riposata, e stava decidendo se cenare in albergo o tornare verso il centro. L’indomani sarebbero stati disponibili 5 scatoloni di documenti ancora da classificare del periodo 1932-1934. Se aveva voglia di compilare qualche scheda mentre li esaminava, le disse Michel, avrebbe avuto la gratitudine di tutto il direttivo dell’Istituto! Come rifiutare una richiesta così formulata? E poi le faceva piacere ricambiare in qualche modo l’Istituto e i suoi volontari per averle messo a disposizione tutto quel materiale, e per il fatto che l’Istituto continuava a conservarlo e gestirlo. Accettò quindi con piacere la richiesta esplicita di lavoro volontario, e tutto sommato non si stupì nemmeno dell’invito a cena, che arrivò subito dopo. Si era fatta l’idea che Michel fosse un ‘tombeur de femmes’, uno ‘sciupafemmine’ come il Commissario Montalbano diceva del suo vice, Mimì. “Ti passo a prendere in albergo verso le 19,30. È probabile che a quell’ora non troverò parcheggio, stai attenta al telefono”. Il passaggio al ‘tu’ tendeva a confermare la sua ipotesi. Aveva impiegato un po’ per prepararsi per la serata. Non voleva un abbigliamento troppo audace, ma nemmeno troppo sobrio. Dopo qualche prova, si convinse di aver trovato i giusti accostamenti. Aveva appena finito di truccarsi, quando suonò il telefono. “Così in anticipo?” si chiese. Ma non era Michel, era sua figlia Silvana. “Ciao mamma, te la passi bene, vedo! Neanche una chiamata, oggi!” “Me la passo bene, cara, sto per andare a cena col direttore dell’Istituto storico della Resistenza…” “Nientemeno che col direttore!” “Certo. Forse non è proprio il direttore, ma poco ci manca” “Direttore o no, scommetto che è anche un bell’uomo! E magari un tecnocrate alla Macron” “Sei fuori strada, cara. Fosse un tecnocrate non sarebbe all’Istituto storico della Resistenza. E poi lo sai, i tecnocrati alle ultime elezioni francesi, non sono andati un granché. Un po’ come voi nei sondaggi…” Poteva sembrare una provocazione, ma alla luce di quanto aveva saputo il giorno prima dall’altra figlia, era un’esca per vedere come reagiva. “Hai ragione, mamma, neanche io sono contenta di come stanno andando le cose. Finalmente hanno finito la manfrina con Casaleggio, è durata fin troppo, e ha allontanato molti. E anch’io sono in difficoltà, una parte di noi vorrebbe presentarsi alle elezioni come movimento, altri sono per una lista civica.” La figlia era saltata di palo in frasca, dalla politica nazionale a quella locale ma questo era indice di quanto si stava impegnando nel suo Comune, un comune compreso nella fascia sotto i 15.000 abitanti, dove non è previsto il ballottaggio. “Una lista civica senza etichette, immagino” “Certo, senza etichette, ma orientata… per così dire. C’è chi non ama le etichette, e neanch’io, lo sai, ma l’epoca dei ‘vaffa’ è finita, dovrebbero averlo capito tutti. E poi, se non la facciamo con quel po’ di persone più o meno organizzate, non so proprio con chi possiamo farla.” “Ah, ti stai impegnando in prima persona, allora!” “Sì, ci tenevo a dirtelo, e non pensavo fosse così faticoso. Qualcuno dei nostri ancora dice ‘mai col PD’; da parte loro, non so, ma penso ci sia anche chi dice ‘mai con i 5 stelle’…” Beatrice pensò ai comunisti e ai socialisti in Europa negli anni ‘30… 40 “… così si perdono per strada quelli che avrebbero voglia di impegnarsi per far funzionare le cose…” concluse Vani. “Ricorda un po’ la linea del socialfascismo dei comunisti negli anni ‘30” “Boh, non saprei… sì… ricordo quando mia sorella studiava quel periodo… forse hai ragione. Certe rigidità vanno superate” Beatrice prendeva atto, e con soddisfazione, della maturazione di sua figlia, e non solo dal punto di vista politico. Stava svanendo quell’atteggiamento di ribellione totale che aveva avuto a cominciare dai 16 anni. “Comunque, non ti scoraggiare. Mostrate spirito costruttivo, vedrai che prevarrà” “Oh, mamma, sono contenta che almeno tu non mi dai contro!” “Perché, scusa?!? Chi è che ti ha dato contro?” “In realtà, nessuno, però Sandra è preoccupata, dice non posso portare avanti questa cosa proprio mentre in ditta hanno puntato su di me – anche su di me – per i nuovi sistemi grafici. Gianni si è allontanato dal movimento, proprio adesso che io mi sto impegnando qui…” “Gianni… forse devi coinvolgerlo in qualcosa di pratico, fargli spiegare le regole dei consigli comunali, le responsabilità degli amministratori, cosa può fare un consigliere, eccetera… una specie di incontro di formazione per quelli che vorrebbero fare la lista civica. Potrebbe essere l’unico avvocato del gruppo…” “Ma sai che è una buona idea, mi piace proprio! C’è una signora che ora è in pensione, e che è stata ragioniera in un Comune qua vicino, lei potrebbe spiegare la parte finanziaria… sono proprio contenta, chiamo subito Nadia e Claudio” “Chi sarebbero? Non sono amici tuoi, sono nomi nuovi” “Nadia è la segretaria del PD, Claudio ha organizzato con la parrocchia dei corsi di lingua e di educazione civica per gli immigrati, non mi pare si sia mai interessato attivamente di politica… Abbiamo già fatto un paio di riunioni, sono tutti e due per la lista civica con noi, penso che l’idea gli piacerà” Anche Beatrice era contenta per aver incoraggiato la figlia, e se andrà alle riunioni vestita ‘dark’ e con qualche tatuaggio di troppo, pazienza! Michel non chiamava, così continuò la telefonata. “Sai, oggi sono tornata alla Tour Eiffel, non sono salita, ma è aperta al pubblico, una di queste sere tornerò. Ricordi quando siamo stati con papà? Quando è stato, una quindicina d’anni fa?” “Venti, mamma, era il 2001, io avevo 8 anni!” “È stato un viaggio così bello che non mi sembravano 20 anni!” “Una meraviglia… ma allora, fai la turista, non stai facendo una ricerca!” “Tutte e due le cose. Ieri e stamattina ho lavorato sodo, sono stata all’Istituto storico della Resistenza e al Ministero dell’Interno…” “Ma non ho ancora capito che ricerca stai facendo…” In quel momento squillò il telefono sul comodino. “Oh accidenti, dovevo tenere libero il cellulare… Devo scendere, Vani, ci sentiamo domani?” “Ho capito, il ‘tuo’ direttore…” “Non è il ‘mio’… non voglio farlo aspettare. Qui i parcheggi sono un disastro” “Vai mamma, ci sentiamo domani” “Ciao, a domani” Rispose rapidamente al telefono dell’albergo, si mise le scarpe e chiuse la porta dietro di sé.

 

 6 – AL RISTORANTE. All’apparenza, era un locale come tanti. Beatrice, specie sui ristoranti, tendeva a farsi molti pregiudizi. Aveva immaginato un interno scarsamente illuminato - ma loro si sarebbero seduti all’aperto, nel cortile interno -, massicci tavoli pieni di nomi incisi nel legno, odore di patate fritte, quelle comprate congelate a quintali e buone solo nei 60 secondi successivi alla cottura, piatti precucinati e scaldati al microonde, musica assordante. Invece, a poco a poco, rivalutò le capacità di scelta di Michel. Le patate erano al forno e non congelate, e le portate non davano quell’idea di ristorazione collettiva a basso costo, avevano un tocco di personalità che a volte non trovi nemmeno più in Italia. La musica di sottofondo consentiva di parlare senza dover alzare la voce, e il cortile interno era curato, con piante fiorite sia a terra che in vasi intorno alla recinzione. “L’unica previsione che ho azzeccato – pensò - sono i tavoli ‘scolpiti’!” “Allora, come procedono le tue ricerche?” esordì Michel dopo che ebbero portato da bere. “Bene, sono molto soddisfatta della visita al Ministero, e la tua amica Justine mi è stata di grande aiuto.” “Brava ragazza, Justine, e molto preparata. Farà carriera, e ci riuscirà senza dover sgomitare. Stava per chiedergli come l’aveva conosciuta, ma si trattenne, non voleva apparire curiosa. Alla fine, fu lui a proseguire il discorso nella direzione che lei avrebbe desiderato. “Venne per uno stage circa 10 anni fa, non era timida come Pauline – hai presente Pauline – era già iscritta all’università, voleva specializzarsi in statistica. L’ho un po’ aiutata in matematica…” “Pensavo che i volontari da voi fossero studenti di scienze politiche o materie umanistiche” “In genere, sì. Justine venne da noi spinta dal nonno, era un docente di storia, un importante intellettuale antifascista, nel ‘44 aveva partecipato alla liberazione di Parigi. Lei però aveva già scelto un’altra strada. Come studi universitari, intendo” “Sì, l’avevo immaginato” Arrivarono le portate, la conversazione rallentò. Accennò ancora qualcosa su Justine, poi, prima di ordinare il dessert, disse: “Anch’io, comunque, ieri sera e stamattina mi sono lanciato in una ricerca storica, non sei la sola!” Lo disse con l’aria di un attore consumato, che recita la battuta prima del colpo di scena. Beatrice non poteva evitare di stare al gioco. “Ah, e che ricerca hai fatto?” “Tanto per cominciare, sono andato nella vecchia cantina di mia nonna. Poco prima di morire, mi disse di portare dei documenti all’Istituto, ma sapevo che non erano tutti. Da tempo sapevo che intendeva fare questa donazione, infatti mi chiedevo perché temporeggiava. Avevo pensato volesse fare lei una selezione, secondo criteri che ignoravo. Alla fine, mi disse quale parte avrei dovuto consegnare, e quale parte conservare, e mi sono sempre chiesto il perché, ma in verità non davo troppa importanza a quella suddivisione, invece avrei dovuto.” “Perché?” “Perché già allora avrei capito che aveva sempre mentito sull’anno in cui aveva conosciuto mio nonno. Aveva sempre detto di averlo conosciuto nel 1934, proprio in quel periodo turbolento del quale tu ti stai occupando, ma io mi sto convincendo che lo conobbe 2 anni dopo.” “Oh, bella! E che motivo aveva di mentire?” Beatrice subito pensò a qualcosa di cui vergognarsi, magari il coinvolgimento del nonno di Michel nelle manifestazioni della destra del 6 febbraio del ’34, che nonna Sandrine voleva tenere nascosto. Espresse il suo pensiero a Michel, proprio quando arrivavano i dolci. “No, niente di tutto questo. Da come ricordo nonno Charles, e da come ne ha sempre parlato lei, è assolutamente impossibile che mio nonno potesse partecipare a manifestazioni violente.” Le descrisse la foto, quella appesa per prima alla scala della cantina. Non ricordava molto di nonno Charles: una lunga malattia e una morte prematura. Tutto ciò che sapeva di lui, era frutto delle parole di sua nonna e suo padre. Il cameriere portò via i piatti del dolce, e sulla tavola rimasero solo più due bicchieri e una bottiglia quasi vuota di un Chablis, che un’ora prima era fresco. Michel fece portare del ghiaccio. “E allora? Perché mentire? E come lo hai scoperto?” “Sei tu che mi hai messo sulla pista giusta” “Io? E come?” “Il documento che mi hai mostrato questa mattina. La tua attenzione si è concentrata su quel nome che poteva essere tuo nonno, prima che venisse naturalizzato italiano. Non hai notato la firma in calce al verbale” “E di chi era quella firma?” “Di mia nonna Sandrine” “Questo non dice nulla sull’eventuale menzogna di tua nonna, al limite dimostra che conosceva mio nonno, ma soprattutto non 45 esclude che lei conoscesse anche tuo nonno Charles. Perché dici che si sono conosciuti successivamente?” “Perché, se così fosse, altri pezzi del puzzle dei miei ricordi, andrebbero a posto. Ci sono sempre state piccole contraddizioni. Un paio di volte, quando ormai era molto vecchia e non stava più tanto bene, mi parlò degli scioperi del 1936, quelli che dovevano spingere il governo di Leon Blum ad attuare le promesse fatte in campagna elettorale, quelle sul diritto di associazione, le ferie pagate, le 40 ore settimanali di lavoro… ma tu queste cose le sai… ebbene, mia nonna, un paio di volte mi disse di aver conosciuto nonno Charles durante quelle manifestazioni, quelle del ’36, non quelle del ’34, hai capito? “Tutto qua? Non è un po’poco? Hai confrontato le date di matrimonio, queste cose qua? Potrebbe essere che si sono conosciuti nel ’34, e si sono rivisti due anni dopo, e che solo allora sono messi insieme.” “Molto logico. Ma ieri ho subito pensato che quel documento che mi hai mostrato, lì non ci doveva essere. Hai notato che nel Fondo Fournier-Giroud non ci sono documenti del 1934? È tutta roba degli anni successivi. Deve essere sfuggito a mia nonna, ma anche a quelli che hanno fatto la prima scrematura, qui in Istituto” “In effetti, i documenti che interessavano a me, non erano nel Fondo Fournier-Giroud” “…e poi ho fatto altre ricerche, stamattina, e anch’io ho trovato un documento. Sono andato negli archivi del Tribunale…” “… dove lavora una tua cara amica, scommetto!” Le era proprio sfuggita, colpa dello Chablis, probabilmente. Michel sorrise e divise equamente l’ultimo vino nei loro bicchieri, aggiungendo del ghiaccio. “No, un caro amico, stavolta. E ricordati – proseguì con aria grave – che questo documento è uscito illegalmente dall’archivio, quindi non esiste.” Sollevò il bicchiere per un brindisi, che stavolta aveva il significato di un giuramento. Svuotati i bicchieri, porse il documento a Beatrice. Era la fotocopia di un decreto del tribunale di Parigi, emesso nel gennaio del 1937 da un giudice, che attribuiva il cognome “Fournier” a un bambino nato nella primavera del 1935 a Lille, e registrato alla nascita come “Jacques Giroud”. “Me lo potevi dire che tuo padre è nato nel 1935! Questo sì che potrebbe far pensare seriamente al fatto che tua nonna avesse mentito sulle date” Beatrice si rese subito conto anche di un’altra cosa: se è vero che Charles e Sandrine si sono conosciuti nel ’36, e che Jacques, il padre di Michel, è nato nel ’35, la conseguenza è che Charles non ne poteva essere il padre “biologico”. Proseguì nella lettura del decreto, che alla fine, su richiesta della nonna di Michel, secretava il certificato di nascita originale, e stabiliva che da allora le certificazioni avrebbero riportato solamente “Jacques Fournier”. In pratica, la madre voleva blindare un segreto, quel segreto che sarebbe rimasto tale fino a molti anni dopo la sua morte. E anche dopo la morte del marito Charles, che certamente era complice nel volerlo a tutti i costi. Per un lungo attimo, restarono entrambi silenziosi. “Però, scusa, può anche darsi che si fossero conosciuti nel 1934 e si fossero persi di vista. Tuo nonno, magari non sapeva nemmeno di essere diventato padre. Quando si sono rivisti, si sono sposati. Sarebbe anche una bella storia, molto romantica.” “A questa possibilità ho pensato anch’io, ma è improbabile. Non ci sarebbe stata ragione di tenere tutto nascosto. Ci sono anche molte anomalie sul luogo dove mia nonna ha abitato, e poi non mi risulta ci fossero altri parenti cui dover rendere conto di qualcosa, erano soli al mondo. C’è una ipotesi più verosimile.” “E sarebbe?” “Che l’amore di gioventù di nonna Sandrine, fosse tuo nonno. E che fosse anche il padre biologico di mio padre.” Lo disse sottolineando gli aggettivi possessivi. A Beatrice quasi scappò un “GULP!”, come nei fumetti. Si riprese dalla sorpresa, e iniziò a ragionare ad alta voce. “Scusa, ma tu dici questo solo perché a quella riunione del sindacato ha partecipato una persona che potrebbe – dico ‘potrebbe’ -essere mio nonno? E solo perché a presiederla era tua nonna? “Quella è stata la traccia. Poi in cantina ho trovato altro. Ti dicevo delle anomalie sui luoghi dove ha abitato mia nonna. Ho trovato un certificato di residenza, dove una tale Sandrine Giroud nel dicembre del ’34 ha preso la residenza ad Abbeville, sulla Somma. Ma lei ci ha sempre detto di aver abitato e lavorato a Lille, dove fra l’altro è nato mio padre. Guarda caso, anche la città di nascita di mio nonno Charles. Che, guarda caso, lavorava proprio nell’ospedale di Lille. Mia nonna ha sempre detto che è andata ad abitare a Lille perché a Parigi non si sentiva sicura, c’era troppa violenza, e certamente era nel mirino dei fascisti, ma non c’è traccia di documenti al riguardo. Approfondirò anche questo aspetto con l’anagrafe del Comune di Lille, ma ho la sensazione di conoscere già il risultato” “Quindi, secondo te la residenza ad Abbeville era fasulla? Magari le serviva proprio perché era nel mirino dei fascisti” chiese Beatrice. “Secondo me, aveva il duplice scopo, di depistare sia i fascisti che il padre biologico del bambino: non voleva che tuo nonno sapesse di essere diventato padre.” “Ma perché l’amore di gioventù di tua nonna Sandrine doveva essere proprio mio nonno? Il tuo nonno ‘biologico’ poteva essere chiunque, qualunque altro partecipante a quella riunione, o qualunque altra persona che l’avesse conosciuta nel febbraio del ’34. O giù di lì.” “Vero anche questo. Però, tu pensa ai nomi di battesimo di mio padre e di tua madre. Nessuno dei nostri nonni ha seguito la ‘regola’ di chiamare il figlio come il proprio genitore. Nessuno dei miei bisnonni si chiamava “Jacques’, e sono sicuro che nessuna delle tue bisnonne si chiamasse ‘Sandra’. È un caso che il nome di mio padre fosse ‘Jacques’, come tuo nonno prima di naturalizzarsi italiano, e quello di tua madre fosse ‘Sandra’, come mia nonna?” “Scusa un attimo, come fai a sapere che mia mamma si chiamava Sandra… ah, già, la telefonata di ieri mattina di mia figlia Sandra… e come fai a sapere che mio nonno si chiamava ‘Giacomo’… ah, è vero, te l’ho detto io dopo averti mostrato il verbale della riunione.” E poi, fra sé e sé “Oddio, sto perdendo colpi”. Però colse subito la conseguenza della teoria di Michel. “Quindi, se è vera la tua ipotesi… io e te siamo cugini!” “Unilaterali, ma cugini. Si dice così anche in Italia?” “Sì, secondo la tua teoria, mia madre e tuo padre erano fratelli unilaterali; se è vero, mi fa un certo effetto pensare che non lo sapevano. Qui ci vuole qualcosa di forte” Michel rise di gusto, e ordinò due armagnac. Dopo il primo sorso, Beatrice si riprese. “Comunque, anche questo dei nomi, è solo un indizio, caro il mio commissario Maigret!” “Hai ragione, abbiamo solo tre indizi, forse quattro, e tre indizi non fanno una prova, e nemmeno quattro. Anche se forse alla Gendarmerie la pensano diversamente!” Beatrice pensò che la battuta andasse bene per le polizie di tutto il mondo. Poi Michel proseguì: “Forse, a questo punto, potresti aiutarmi tu” “In che senso? Ah, se so qualcosa della vita di mio nonno, prima che venisse in Italia, immagino. O se anch’io ho qualche documento sepolto in cantina…” Guardò l’ora: non voleva chiamare sua figlia Silvana, era molto tardi e temeva di farla preoccupare. Poi, vista l’eccezionalità della cosa, ma anche il ritrovato clima di armonia con lei, prese il cellulare e la chiamò. Non rispose subito. Pensò fosse a una riunione, non certo a casa a dormire. “Mamma, tutto bene?” chiese con tono allarmato. Il rumore di sottofondo confermò la sua ipotesi. “Tutto bene, Vani, non ti preoccupare. Però ho scoperto una cosa importante, pensa, un vecchio documento di una riunione alla quale forse ha partecipato tuo bisnonno Giacomo!” “Davvero!?! Proprio una cosa curiosa, ma…” “Senti, forse sei impegnata, faccio veloce. La prima volta che vai a Torino – non andarci apposta – scendi in cantina da me, c’è una scatola con le vecchie foto, sai… ricordi quando ne cercavamo una per rifare la lapide di nonna Sandra?” “Sì, mi ricordo. Una scatola di cartone robusto, foderata di stoffa verde” “Brava, proprio quella. Dovrebbe esserci una foto di nonno Giacomo quando era giovane, era ad una manifestazione, con altre persone… poi ce n’è anche una un po’ rovinata, con una ragazza che abbiamo sempre pensato fosse nonna Beatrice...“ Si morse il labbro, non voleva dire troppo, forse aveva già esagerato. “Cosa vuoi dire, non era mia bisnonna Beatrice?” “No, non è questo il punto”. Cercò di deviare il discorso. “Poi ti dirò, ha solo a che fare con la mia ricerca… Tu che sei brava con la grafica, 50 mi potresti mandare la scansione di quelle foto? Non sono molte, quelle con nonno Giacomo; due di sicuro, forse tre…” “Certo, nessun problema, è urgente?” “In realtà, no. Se non riesci domani, va bene anche dopodomani…” “Ho capito, è urgente. Domani provvedo” “Grazie, Vani, sai stata di grande aiuto” “…anche tu, oggi…” senti mormorare la figlia. Si salutarono. “Il naso ti si è allungato di 5 centimetri…”. Michel rideva di sottecchi. “Poi le dirò tutto, adesso non volevo farla lunga, era a una riunione. Comunque, vedremo se le mie vecchie foto di famiglia che ritraevano nonno Giacomo da giovane, possono essere utili” Beatrice riprese il filo dei suoi ragionamenti. “Fosse vero quello che mi dici, mi piacerebbe sapere perché tua nonna ha voluto tenere tutto nascosto” “Questa è una bella domanda, forse non lo sapremo mai. Ho ipotizzato un tradimento, ma se così fosse, non avrebbero mai dato a mio padre e a tua madre il nome dei loro ‘ex’. Questo fatto dei nomi fa pensare ad un rimpianto, non a un tradimento. E poi ho scoperto un’altra cosa” “Dici che questa la reggo? Ho solo più mezzo bicchiere” Altra risata da parte di Michel. “Penso di sì” rispose poi con nonchalance. “Una denuncia per schiamazzi, seguita da arresto per ubriachezza, e due per rissa, a carico di un certo Jacques Durand; la prima del dicembre ’34, le altre del gennaio del ’35. Il comportamento di un uomo disperato, non di uno mollato perché beccato con un’amante…”

“E se a tradire fosse stata lei?”

“Lo ritengo improbabile. Era una tutta d’un pezzo. Avesse avuto un altro uomo, gliel’avrebbe detto. No, nessun tradimento, secondo me. Però, era una persona terribilmente orgogliosa, tendeva a fare sempre tutto da sola, ha sempre fatto quello che voleva, ma fosse stata innamorata, non sarebbe sparita. Viene più da pensare che non lo fosse, che con Jacques – Giacomo – fosse stata una infatuazione, se ci pensi era una ragazza di 19 anni, penso non avesse nessuna intenzione di mettere su famiglia” “E comunque non intendeva farlo con nonno Giacomo, fosse vera la tua teoria…”. Poi, ripensando alle denunce: “Anche questi documenti delle denunce per rissa, li hai ottenuti illegalmente?” “Non sono nemmeno documenti, sono informazioni confidenziali, che mi ha dato un’amica che lavora alla Sureté. “Giovane e carina, immagino” Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.

 

 

7 - ANCORA PARIGI Era la mattina successiva. Beatrice entrò trionfante nell’atrio dell’Istituto. Sua figlia Silvana –Vani-, si era alzata alle 5 per andare a casa della madre a cercare la scatola, poi era andata alla sua ditta un’ora e mezza prima del solito per passare le foto allo scanner professionale che usava lì e per ottimizzare l’immagine. A Michel, che quella notte quasi non aveva chiuso occhio, mostrò subito il tablet con la foto di un corteo, dove alcune persone reggevano uno striscione con la scritta “UNITÉ UNITÉ”. A una delle estremità dello striscione, vicino al fotografo, un uomo e una donna, pieni della bellezza della gioventù, invece di guardare avanti, si guardavano e si sorridevano a vicenda. “Questo è tuo nonno?” chiese Michel con gli occhi lucidi, indicando l’uomo. Ma già sapeva la risposta. “E quella non è mia nonna Beatrice!”, aggiunse lei per suggellare la scoperta. Michel tacque un lungo istante, poi, da sotto il bancone della reception, estrasse una fotografia incorniciata. La porse a Beatrice, e con un sospiro carico di significati, disse: “… e questi sono i miei nonni, Charles e Sandrine. La foto è del 1948. Il ragazzo è mio padre”. Beatrice guardò la fotografia con attenzione. La somiglianza fra la donna della foto di Michel, e la donna che reggeva lo striscione nella sua, era impressionante. Erano passati 14 anni, ma era proprio lei, era Sandrine. “È l’unica?” chiese Michel. “No, scorri, ce n’è un’altra”. Michel visualizzò la foto successiva. C’erano solo due figure in questa seconda fotografia, due figure molto vicine, e nessuna certezza che i loro volti fossero proprio quelli di Jacques e Sandrine. L’immagine era rovinata, come se qualcuno – nonno Giacomo sicuramente – avesse voluto accartocciare la foto per buttarla via, e poi ci avesse ripensato. Dopo aver sentito le ipotesi di Michel della sera prima, ora Beatrice era certa che la donna della seconda foto non fosse la sua nonna omonima: quello che poteva intuire dal taglio dei capelli e dalla forma della bocca, gli elementi meglio conservati, le davano la certezza che non fosse la futura moglie di nonno Giacomo, soprattutto ora che aveva visto il volto di Sandrine. Michel tornò a guardare la foto precedente, poi restituì il tablet a Beatrice. “Me la mandi? Sulla mail, se ti viene comodo.” In pochi secondi Beatrice inoltrò i due files alla casella di posta che già conosceva. Stettero in silenzio qualche momento. “Ah, la foto della manifestazione è sicuramente della fine di giugno del 1934, mia figlia è riuscita a leggere sul retro il timbro del laboratorio che l’ha sviluppata: c’era anche una data impressa col datario dei primi di luglio.” “Poco prima del patto di unità d’azione fra la SFIO e il PCF…” disse Michel. Quel suo commento serviva a stemperare l’emozione del momento, certo non a intavolare una dissertazione storica. In effetti aggiunse: “Certamente non sapeva di essere incinta, forse non lo era ancora.” Beatrice gli propose un caffè. Non alla macchinetta, naturalmente. Michel uscì dal bancone commentando: “Non è l’ora per un armagnac, ma ci starebbe proprio!” Arrivati al bistrot e rinfrescate le idee con due caffè freddi, Michel chiese: “Raccontami qualcosa di tuo nonno Giacomo.” E Beatrice raccontò.

 

Fu così che Beatrice riprese le sue ricerche con rinnovato piacere, e Michel trovò una persona con cui poter scoprire aspetti del passato di quella parte della sua famiglia, della quale, fino a due giorni prima, ignorava l’esistenza. Anche per Beatrice, tutto sommato fu la stessa cosa. Durante quei giorni di fine luglio, non passò sera che non andassero a cena insieme, a volte con amici e amiche di Michel, a volte da soli. Facile immaginare quale fosse l’argomento di conversazione di quelle serate! Il motivo della fine della storia fra Sandrine e Jacques, fu oggetto di mille ipotesi, che rimasero tali. Beatrice sentì più volte la figlia per telefono, ma decise di non rivelare nulla fino al suo rientro in Italia, voleva farlo di persona. L’importante è che quando Michel avrebbe conosciuto le figlie di sua cugina – la sua unica cugina – loro sarebbero state già ben informate. Fu durante una di quelle telefonate, che Sandra rivelò alla madre che la sorella, non solo era riuscita a mettere insieme un gruppo di persone disposte a presentarsi alle elezioni del loro Comune, ma che – forse proprio a causa del fatto che più di tutti si fosse impegnata con quello scopo – avevano deciso che la candidata Sindaca sarebbe stata proprio Vani. Dapprima si stupì di tanta celerità: era abituata al fatto che le decisioni politiche avevano lunghi tempi di maturazione: riunioni, incontri, assemblee, dibattiti, mediazioni… Si rese subito conto che la pandemia e l’avvicinarsi della scadenza elettorale, costringeva tutti ad accelerare i tempi. E poi, sospettava che alcune delle informazioni che riceveva dalle figlie, in realtà non fossero proprio “fresche di giornata”: a maggio e giugno ci doveva essere stato tutto un lavorio, del quale si erano ben guardate di metterla al corrente. Quando Michel l’accompagnò alla Gare de Lyon, Beatrice provava un filo di malinconia, ma lo stato d’animo dominante, era l’euforia. Era felice per aver trovato un parente che non sapeva di avere, felice di avere tante cose in comune con lui, felice per le intense emozioni che quel viaggio in Francia le aveva dato. Michel aveva ripreso il suo abituale modo di fare compassato, ma anche per lui, qualcosa era cambiato. Si erano accordati per una visita di Michel in Italia in occasione del ponte di Ognissanti, sperando che almeno le regole sui Green Pass non sarebbero cambiate. Avrebbero preferito entrambi anticipare la visita, ma alla fine decisero che quello era il momento migliore: dopo le elezioni, dopo l’inizio dell’anno accademico e dopo la ripresa dell’attività nelle scuole. Quando fu l’ora di salire sul treno, si abbracciarono, in barba alle norme antipandemia.

 

 

8 – DI NUOVO A CASA Era la fine di agosto, e l’estate era a un punto di svolta, non solo meteorologico. La strana estate 2021. A luglio, nel mondo molte cose sembravano mettersi per il meglio. Poi era ancora arrivata la quarta ondata del COVID, il disastro dell’Afganistan, gli incendi in mezza Europa, anzi, in mezzo mondo, la disperazione ad Haiti… Le giornate immediatamente successive al rientro di Beatrice, non lasciarono un attimo di tempo a nessuno. Erano tutti pieni di impegni: Beatrice, alla stesura della relazione che doveva consegnare al suo tutor, il Prof. Castiglioni; Vani nel mettere insieme la lista e il programma per le elezioni nel suo Comune; Sandra e il marito erano andati per un po’ al mare, poi erano tornati al lavoro, e in attesa della ripresa della scuola, si barcamenavano con baby parking e permessi per seguire i figli. Il poco tempo che ebbero tutti quanti per stare assieme, fu per parlare della scoperta di avere un parente francese, del quale ignoravano l’esistenza. Strana estate, quella estate 2021. Drammatica, per molti aspetti. Beatrice si sentiva quasi in colpa per il fatto di sentirsi felice. Il Prof. Castiglioni era rientrato dalle ferie, e aveva cercato Beatrice e gli altri studenti del gruppo di lavoro sul Fronte popolare; intendeva trovarsi entro breve tempo, per fare il punto sulla ricerca. Qualcuno era ancora via, ma Ricky, Valerio e Fabrizio erano a Torino, e tramite il gruppo whatsapp si accordarono per trovarsi a Palazzo Nuovo qualche giorno dopo. Beatrice lavorò in ogni momento libero alla sua relazione, e riuscì a completarla il giorno stesso previsto per la consegna. Letta, riletta e rilegata, verso metà pomeriggio si avviò verso l’Università. Era una bella giornata, e Beatrice intendeva andare a piedi. Poi cambiò idea, voleva poter andare rapidamente da Sandra, se lei glielo avesse chiesto. Castiglioni era in ritardo, fuori del suo ufficio si ritrovarono in quattro. Scoprì che Valerio e Ricky erano andati qualche giorno in montagna insieme. “Ci siamo anche divertiti, Viarenghi, non credere che abbiamo solo parlato di politica!” disse scherzosamente Valerio, memore delle discussioni prima della pandemia. “Ci credo, ci credo, ragazzi” “E tu, sei andata in Francia a cercare materiale?” Beatrice accennò brevemente alle sue ricerche, non disse di aver trovato un ‘cugino’ che non sapeva di avere, però raccontò di aver conosciuto un ingegnere che faceva il volontario presso un Istituto storico sulla resistenza francese, che teneva molto al fatto che la resistenza fosse qualcosa di tutti, destra e sinistra, progressisti e conservatori. Valerio ascoltava, un po’ sul ‘chi vive’. “Sarà, però qui sembra che la resistenza l’abbiano fatta solo i comunisti, a sentire voi di sinistra sembra sia illegale essere di destra. “Non è vietato essere di destra, è vietato essere fascisti o nazisti” affermò Ricky, lapidario come sempre. “Però voi trattate da fascisti chiunque manifesti un pensiero diciamo così ‘conservatore’…” “E’ una mia opinione –intervenne Beatrice- ma io trovo che la destra italiana, anche quando professa ideali democratici, strizza l’occhio alla destra radicale, a CasaPound, a settori della società dove il comportamento violento o mafioso è normale. E non credo si limiti a strizzare l’occhio…” “Secondo me, con gli ambienti che dice Viarenghi, così come con le tifoserie violente di certe squadre di calcio, tanto per dirne un’altra, ci sono collegamenti veri a propri, magari indiretti, ma ci sono” aggiunse Ricky. “E’ questo che non rende la destra credibile –proseguì Beatrice; è questo che rende possibile una involuzione della nostra società e del nostro stato. Non penso a una involuzione violenta e autoritaria nel caso di vittoria della destra, penso a elementi di dittatura sostanziale all’interno di un quadro formalmente democratico…. Controllo politico della magistratura, dei media… Al nostro paese è mancato un De Gaulle, per dirla con un esempio. È mancato, e all’orizzonte non si vede. A meno che si voglia paragonare Berlusconi a De Gaulle!” “Neanche io arrivo a tanto, Viarenghi!” rispose Valerio. “Però molte sue idee erano innovative e convincenti, quelle della sinistra, no” “Questo è un pensiero legittimo, ma da vagliare a fondo” concluse Beatrice. Nel frattempo, arrivò il Prof. Castiglioni, scusandosi del ritardo. Entrarono tutti nel suo piccolo ufficio. Li squadrò a uno a uno, poi si tolse la mascherina, e senza dire parola, invitò gli altri a fare altrettanto mentre apriva la finestra. I quattro studenti (tre ragazzi e una prof in pensione) posarono le loro relazioni sulla scrivania. “Bene, bene” esordì. “Queste me le leggo poi. Ora datemi il senso di cosa avete fatto.” Ognuno fece un breve riassunto del lavoro fatto: Ricky sulle sue ricerche relative alle politiche sociali del Fronte popolare, Valerio sulla politica estera e in particolare sul mancato intervento in favore della Repubblica spagnola, Fabrizio sull’economia e sulla finanza pubblica. Anche Beatrice riassunse il lavoro svolto. “La mia intenzione era di trovare nuova documentazione sul periodo dei tumulti, non solo quelli di febbraio, ovviamente, e sulla risposta popolare alle manifestazioni della destra. Documentazione che consentisse di confermare o smentire un’ipotesi, cioè che il timore di una involuzione autoritaria e razzista in Francia, fosse molto più diffuso fra la popolazione che fra i dirigenti politici”. “E cosa ha trovato di interessante? E a quale conclusione è giunta?” “Secondo quello che ho trovato, era proprio così. È evidente che per un quesito del genere, è difficile trovare prove di tipo diretto, però ne ho trovate alcune anche molto interessanti di tipo indiretto. Ad esempio, la trasformazione del partito radicale. Era un partito con una fisionomia non ben definita, c’erano parecchi dirigenti che erano dichiaratamente collocati con i partiti di destra, la destra istituzionale, non apertamente simpatizzante per Hitler, o almeno, non ancora. Molti dirigenti radicali, dopo le manifestazioni di febbraio, si avvicinarono apertamente alla sinistra, in qualche modo anticiparono un’idea attuale, l’idea di un polo di centro sinistra. Ho anche trovato numerosi ordini del giorno di Consigli comunali, anche di piccolissimi Comuni, che mettevano l’accento sull’esigenza di contrastare il nazismo. “E perché questo sarebbe importante?” “Perché siamo abituati a pensare che le “svolte” importanti nascano dall’alto, dai vertici nazionali dei partiti, nelle grandi istituzioni, nei grandi Comuni. Il fatto che perfino nei giorni precedenti la manifestazione del 12 febbraio, nei piccoli Comuni ci fosse un fiorire di iniziative, dibattiti pubblici, ordini del giorno, eccetera, dimostra che la diffusione fra la popolazione della nascita di questo sentimento era nato in anticipo. Nel ’66, Antoine Prost sostenne che il Fronte popolare nacque nel febbraio, ma fra le masse, non ancora fra i politici. Non ricordo le parole esatte…” “Il senso era quello, comunque. Continui…” “…Beh, in conclusione, si può dire che la risposta popolare anticipò la nascita del Fronte popolare, proprio perché anticipò le organizzazioni dei partiti, e in qualche modo le costrinse ad avvicinarsi” “Mi sembra interessante. Altro?” “Ho trovato verbali di riunioni di organizzazioni di base che testimoniano questo fatto. La giornata del 12 febbraio, fu veramente un catalizzatore. La partecipazione degli iscritti ai partiti non fu importante, tale e tanta fu la partecipazione dei semplici cittadini. Anche i giornali indipendenti dell’epoca tendono a confermarlo. Purtroppo, non fu ampia la partecipazione delle donne, ma siamo ancora nel 1934… La risposta popolare fu anche un catalizzatore per le posizioni dei comunisti, all’epoca allineati alla linea suicida del “socialfascismo” della Terza Internazionale. Non a caso, la capacità del PCF di incidere sui contenuti di questi ordini del giorno è molto bassa. Il segretario regionale del PCF del Drôme Ardèche lo riconosce lucidamente in un rapporto del 15 febbraio. Poi, cambia tutto dopo i rapporti di Dimitrov e Togliatti a Mosca, al 7° congresso della Terza Internazionale, ma ormai siamo nel luglio dell’anno dopo. È comunque da ricordare che i comunisti diedero un grande contributo all’antifascismo e alla liberazione nel 1944, un contributo organizzativo e di uomini, e purtroppo anche in termini di carcerati, torturati e uccisi, ma sulla base di un processo e di un percorso nato su basi che non erano le loro”. “Interessante anche questo, in un certo senso è uno dei noccioli della questione” “L’anno prossimo potremmo approfondire la liberazione di Parigi…” “Così ha la scusa per un altro viaggio… Ma cosa ha trovato a Parigi, Viarenghi?” “Oh, è stata una bella esperienza, un giorno o l’altro glielo racconto!” “Bene ragazzi, si sta facendo tardi, e in realtà siete ancora tutti in ferie…” Il cielo si era fatto scuro, si salutarono e i ragazzi se ne andarono in fretta e furia, chi in bicicletta, chi a prendere l’autobus. Beatrice indugiò una decina di minuti parlando ancora un po’ col docente degli archivi consultati a Parigi; quando lasciò il suo ufficio, iniziò a piovere a dirotto. Era ormai quasi all’uscita, e stava per lanciarsi sotto la pioggia per raggiungere l’auto, quando si sentì chiamare: “Professoressa Viarenghi…Beatrice…” Era Bassanelli, che si avvicinava a passo veloce. Fu lieta di rivederlo, non fosse stato per la pandemia, lo avrebbe certamente incontrato in facoltà. In attesa che la pioggia si calmasse, ebbero modo di parlare un po’. “Accidenti a questa pandemia, è più di un anno che non la vedo “Ha ragione, ci siamo incrociati prima del lockdown, poi più niente. Castiglioni mi ha detto delle sue ricerche a Parigi…” “Sì, ammetto che in parte è stata una scusa per fare un viaggio” “E io ammetto che ho provato una certa invidia nei confronti del collega, avrei preferito se fosse andata a Parigi per il periodo carolingio…” “Come scusa per un viaggio, forse sarebbe stata altrettanto valida…”. Poi, guardando la scalinata davanti l’uscita, battuta dalla pioggia, soggiunse: “Non è più come prima, credo che però andrà avanti ancora un bel po’” “Ha ragione, dove ha l’auto?” chiese Bassanelli, estraendo un ombrello retrattile dalla cartella. “In Corso San Maurizio, verso Corso Regina, da questo lato” “Anch’io”, disse lui, “ma dal lato opposto. L’accompagno.” Aprì l’ombrello e iniziarono a scendere la scalinata. Inaspettatamente, Beatrice sentì Bassanelli intonare una canzone a lei ben nota. “Il pleuvait fort, sur la grand route Elle cheminait, sans parapluie…” Gli lasciò finire la strofa, poi non potè far altro che esprimere Il suo apprezzamento: “Che conoscesse bene il francese, lo sapevo, non sapevo che fosse così intonato. E che fosse un fan di Brassens!” “Oh, mia madre era una cantante, non divenne mai famosa, ma per un certo periodo lo fece come secondo lavoro. Fu grazie a quello, che i miei poterono farci studiare. Me e mio fratello, intendo.” “È la prima volta che sento qualcosa di così personale che la riguarda, fra gli studenti è rinomato per la sua riservatezza, la sua vita privata è una specie di buco nero” Bassanelli rise di cuore. “Sì, non ho mai parlato di me e della mia famiglia, con gli studenti… i ragazzi, intendo. Lei, anche se non insegna più, in fondo è una collega.” Avevano raggiunto Corso San Maurizio, e svoltarono subito a sinistra. “Forse le sembrerò audace, o perfino sfacciato” proseguì lui, “ma non vorrei che questo incontro sotto la pioggia finisse come nella canzone”. “Vedo che conosce bene la canzone… “Quella frase sospesa lo spinse a proseguire. “Allora, se stasera è libera, la inviterei a cena. Ha preferenze? Vegetariana? Pesce?” “Mi affiderei al suo gusto. Mi faccia solo fare una telefonata” Si ripararono sotto un balcone, e Beatrice chiamò Sandra per sapere se avesse bisogno di lei per tenere i ragazzi e la piccola Lucilla in particolare, ricordando che il marito era fuori città. “Sono a posto, mamma, Vani non poteva, così Gianni è uscito prima dal lavoro. Anche lo zio deve fare la sua parte… era contento anche lui…” “Allora sono libera, ci sentiamo per domani?” “Sì, domani sono tutti fuori Torino o impegnati, e sicuramente io farò tardi.” Si accordarono per l’indomani e si salutarono. “Anch’io sono stato molto impegnato come nonno, fino a tre anni fa. Poi mia figlia si è risposata… Ha trovato proprio un bravo marito, almeno la seconda volta le è andata bene! Ogni tanto faccio ancora il nonno, ma molto meno di prima.” “E la nonna? ...” chiese Beatrice. “Ci siamo separati una decina di anni fa, è tornata in Martinica, dove abitano ancora i suoi genitori. Era naturalizzata americana, ma non si è mai adattata ai ritmi di vita occidentali, né a quelli americani, né ai nostri. Ha resistito per nostra figlia fin troppo a lungo, anche quando tra noi era finita. Ma questa sera soddisferò la sua curiosità da studentessa, se le fa piacere…”, aggiunse, sornione. “Non vedo l’ora!” replicò Beatrice. E garantisco la massima riservatezza. Anch’io, comunque, ho qualcosa di avvincente da raccontare sulla mia famiglia…” “Sulla riservatezza, ci contavo. Che ci fossero anche risvolti avvincenti, era oltre le mie speranze!” Nel frattempo, erano arrivati all’auto di Beatrice. Prima di salire, riparata alla meglio da un ombrello di fortuna, lei gli diede l’indirizzo e si avviò verso casa, con un senso di leggerezza che non provava da tempo. Era un po’ come l’inizio di un film. Provava a immaginare se l’avrebbe invitata a Sète al centenario della nascita di Georges Brassens, visto che anche lui era un fan… “Boh –  pensò alla fine vediamo come va, se non mi invita lui, lo inviterò io!” Non dovendosi occupare della cena, dedicò un po’ più di tempo a prepararsi. Ebbe un istante dejà vu, quando cercò di abbinare gli abiti in un modo che il suo look non fosse né troppo sobrio, né tropo audace. Scelse con cura anche gli accessori: cintura, scarpe, borsa… poi si rifece il trucco, e alla fine decise di sentire le figlie. Prima chiamò Sandra, per aggiornarla sull’evoluzione della serata. Ne approfittò per chiederle cosa dicesse di Bassanelli quell’amica che si era laureata con lui. “Oh, tutte le ragazze erano innamorate di lui” disse Sandra “ma che io sappia è un tipo a posto. All’epoca era sposato con una americana, non ti so dire di più. Anche la mia amica ne parlava bene, come di un buon insegnante, di una persona empatica, comunque non il tipo del dongiovanni…” Soddisfatta di quanto riferito da Sandra, subito dopo chiamò l’altra figlia.  “Ciao mamma, stasera sono nelle curve. Ieri abbiamo fatto la riunione per la presentazione della lista, e andiamo a festeggiare” “La lista e la candidata sindaca, immagino! Ci sarà anche Gianni?” “Certo… Lui era in dubbio se venire, gli altri sarebbero stati delusi se non ci fosse stato! Non me l’aspettavo, è stato uno del PD a insistere per farlo venire. Abbiamo fatto un solo incontro con lui, ma sono stati tutti contenti.” “Come pensi andrà, ce la farete?” “Qui sono tutti carichi, non vedono l’ora di iniziare la campagna elettorale… ARRIVO, GIANNI!... “La sentì dire ad alta voce. “Fortuna che ero già pronta, sono venuti a prenderci in anticipo. DAI, ANCORA UN MINUTO! ...” “E dimmi di Torino, cosa dicono i tuoi?” “Roma e Torino creano molta incertezza. Il fatto di essere avversari il 3 ottobre e doversi forse sostenere due settimane dopo, è qualcosa di surreale” “E Gianni, cosa dice?” “Ah, lui dice che gli italiani votano come cavolo gli pare, non si fanno pilotare dai partiti. Se il nostro candidato esce di scena, lui dice che al ballottaggio buona parte dei nostri voteranno PD, checché ne dicano Grillo & C. Solo un anno fa non sarebbe stato così. Se il PD non va al ballottaggio, lui dice che buona parte dei loro elettori voteranno il nostro.” “Un po’ come in Francia, il 12 febbraio 1934…” “SBRIGATI, VANI! Sei già stata eletta, che ti fai desiderare in questo modo?”. Questo era Gianni, con la sua abituale ironia. “Perché? Cos’è successo il 12 febbraio del ’34?” “Vai a festeggiare, te lo racconto un’altra volta”.

 

MARCO CIGNETTI

BIONOTA
Marco Cignetti è un commercialista che si è sempre interessato di letteratura, politica, storia, cinema e

varia umanità. Classe 1956, per il 50% si sente cittadino del mondo, per il 50% italiano e per il restante 50% torinese, anche se abita in provincia. Nonno di tre nipoti e zio o prozio di altri, cerca di emularli, smanettando sui social: qualche volta ci riesce, a volte fa pasticci, ma non rinuncia.

Vorrebbe scrivere e girare il mondo, prima che sia il mondo a dare il giro.

 

 

 


NOTE

1. L’Istituto storico della resistenza, è una invenzione, In Francia vi sono numerosi istituti, archivi e centri culturali sulla storia francese, e anche sul periodo fra le due guerre e sulla resistenza; non risulta ve ne sia uno con questa precisa denominazione.

2. Lo storico Gilles Vergnon esiste realmente, e insegna davvero all’Università di Rennes. Si è occupato in modo specifico della storia francese più recente. In particolare, è reperibile un suo lavoro dal titolo: “L’antifascisme en France – de Mussolini à la Le Pen” Il testo è liberamente scaricabile dal sito https://books.openedition.org/pur/103880 Questo racconto è molto debitore del lavoro di Vergnon; alcuni documenti “trovati” da Beatrice, in realtà erano già stati trovati dagli storici e utilizzati in parecchie ricerche, compreso il lavoro in argomento. Il lavoro di Vergnon non risulta ancora tradotto in italiano, ed è un vero peccato.

3. La sottovalutazione in specifico della giornata del 12 febbraio 1934, è una mia opinione; pur non essendo uno storico, ci tenevo ad esprimerla. In varie ricerche su internet, in vari testi storici, anche nelle trasmissioni di argomento storico curate dalla RAI, è più facile trovare riferimenti alla manifestazione delle destre del 6 febbraio che di quelle del 9 e del 12. I riferimenti alle “tumultuose giornate del febbraio ‘34” sono comunque numerosi, segno dell’importanza di quanto accadde in quei giorni.

4. Chi fosse interessato ad ascoltare la canzone “Le parapluie” di Georges Brassens, la può trovare su YouTube. La musica italiana d’autore è fortemente debitrice di Brassens: De André, Farassino, Svampa e molti altri, hanno tradotto parecchie sue canzoni.

5. Vorrei qui ringraziare l’amico Silverio Novelli per le indicazioni bibliografiche e documentali fornite, e mia nipote Benedetta per la trascrizione in word di numerose pagine scritte a mano; un ringraziamento anche a tutti coloro che mi hanno aiutato nel trovare imprecisioni, errori, refusi, incongruenze. Imprecisioni ed errori ancora presenti, sono unicamente mia responsabilità.

 


[1] 4Avrei voluto, come in un diluvio, veder cadere senza fine la pioggia per guardarla sotto il mio rifugio 40 giorni, 40 notti

 

 


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