ANDREINI DIETRO LO SPECCHIO di Dino Finetti - I parte (teatro)
TEATRO
Dino
Finetti
ANDREINI
DIETRO LO SPECCHIO
Postfazione alla
Commedia di G. B. Andreini
AMOR
NELLO SPECCHIO
Prima parte
Immaginate un capocomico del primo
Seicento, autore, attore, responsabile di una compagnia rinomata in viaggio
verso la Francia, su licenza del “datore di lavoro” e “padrone di casa”, il
duca di Mantova, al fine di deliziare la corte di Luigi XIII, il ventenne
committente. Giovan Battista Andreini, attor comico in arte “Lelio”,
quarantacinquenne in piena crisi coniugale, si è lasciato alle spalle livori,
battibecchi, invidie, feroci contrasti, come quello, insanabile, con un comico
rivale, Pier Maria Cecchini, in arte “Frittellino”, collerico ferrarese
coniugato con una attrice di nome Orsola Posmoni che aveva il ruolo di seconda
innamorata nella compagnia, dove la prima donna e stella di prima grandezza è
anche la moglie di Andreini, Virginia Ramponi (in arte “Florinda”). I litigi
fra le due coppie erano culminati in uno scambio di accuse, fra cui la più
rilevante, comunicata al duca Ferdinando Gonzaga – e giunta fino a noi
attraverso la corrispondenza – era quella di una tresca sorta all’interno della
compagnia che, ironia della sorte, si chiama “I Fedeli”, dopo essere stata
quella dei “Gelosi”, comprendente i genitori di Giovan Battista, Francesco
Andreini e Isabella Canali. Tutta la troupe sa della relazione
extraconiugale che Lelio intrattiene con un’altra componente del gruppo,
Virginia Rotari, attrice sfacciatamente favorita dal capocomico il quale l’ha
promossa da un ruolo di fantesca a quello di “seconda innamorata” (in arte
“Lidia”), scalzando la legittima titolare, ovvero la moglie del Cecchini, in
arte “Flaminia”. Ma la maggiore autorevolezza dell’Andreini, l’appoggio
influente di Tristano Martinelli, “Arlecchino”, stimato dai committenti – il re
di Francia, Luigi XIII e la di lui madre, Maria de’ Medici - e, non ultima, la
fama come cantante e interprete, riconosciuta a Virginia Ramponi anche fuori
dai confini italiani, avevano fatto sì che il duca “licenziasse” il delatore e
Flaminia, togliendoli dal gruppo di attori destinatari del privilegio di
recarsi oltralpe.
La signora Andreini, nonostante
avesse da giorni aperto «le cateratte al pianto e la bocca agl’improperi», come
cinicamente aveva descritto la situazione il consorte Lelio in una lettera al
duca Ferdinando del 5 agosto 1620,1
aveva dovuto
fare buon viso a cattivo gioco: non erano tempi di femminismo o #Me Too,
quelli, in cui regnanti, nobili e perfino prelati, potevano avere rapporti alla
luce del sole con amanti, cortigiane, favorite ed erano tollerati anche figli
naturali, “vizi” e deviazioni sessuali dei soggetti maschili che detenevano il
potere. Figuriamoci quanto poteva risultare “scandaloso” un ménage
à trois all’interno di una compagnia di commedianti, sempre in viaggio
in totale promiscuità ed esecrata “a prescindere”, dalla Chiesa che considerava
attori e teatranti al rango di gente di malaffare e le donne pubbliche
peccatrici al pari delle prostitute, “maddalene” senza possibilità di
remissione. Per fortuna, re, regine, illustri committenti e protettori, non
avevano in genere questi scrupoli e pregiudizi, ed essendo perennemente in
cerca di distrazioni per “schifare la noia”,
desideravano la ventata di anarchica allegria portata da comici e zanni, con le
loro carnevalate senza regole, se non quella del divertimento, che si
opponevano al grigiore, alla severa cerimoniosità dei rituali di corte, alla
gravità dei doveri politici e al rigore dei costumi.
Andreini, nella lettera del 1620
aveva liquidato i dispiaceri e l’umiliazione della moglie come “femminili
leggerezze”, ammettendo senza pentimenti che la passione per l’altra Virginia
gli era stata imposta da una volontà superiore, forse divina (“sforzo imperioso
di stella”). La “faccia di bronzo” di Andreini è almeno pari alla sua abilità
retorica che si è esercitata e continuerà ad applicarsi nelle varie dediche
premesse alle diverse sue opere pubblicate e offerte ai tanti protettori,
mecenati, committenti cui consacrava le sue produzioni poetico-drammaturgiche
sperando che lo “sforzo imperioso” di nobile “stella” (creativa) ne decretasse
il successo.
Finalmente, i Fedeli approdano a
Parigi verso la fine del 1620. La moglie del capocomico ha dovuto ingoiare il
rospo e adattarsi a convivere con la seconda “innamorata”. Il visionario marito
sublima ogni colpa immaginando che la sua Florinda abbia in odio tutti gli
uomini (amplificazione del risentimento che l’umiliata Virginia nutre verso il
marito fedifrago); ma, per uno scherzo dello specchio “galeotto”, ecco Florinda
accendersi di passione (platonica? ambiguamente erotica?) per Lidia, che nella
realtà è la rivale amante di Andreini, quindi dichiarare candidamente il
proprio amore per l’altra “innamorata” e trascorrere una notte con lei. Ne
sortisce una commedia che ha affascinato molti studiosi ed è stata recuperata
al pubblico contemporaneo – se mai abbia avuto l’onore di una rappresentazione
per gli spettatori del XVII secolo, così come noi la conosciamo – dal regista
più “barocco” delle scene nazionali e internazionali, Luca Ronconi (Ferrara,
2002).
L’evocazione di un rapporto lesbico
maliziosamente suggerito dalle battute oscene della serva Bernetta (ma di cui
non si ha l’oggettiva certezza, la “prova provata”) è forse l’episodio della
commedia che più ha attirato l’attenzione della critica nostrana e anche
anglosassone.2 Ma altri aspetti sono stati
oggetto di dotti approfondimenti da parte degli studiosi che si sono cimentati
con un testo stimolante e allusivo, ricco di echi letterari e mitici, da cui si
irraggiano immagini suggestive quanto sfuggenti come un’illusione ottica o un
gioco di specchi. Le tematiche sono numerose e saranno accennate nelle schede
successive a questa introduzione (Nomi, Personaggi, Temi).
Avevamo
lasciato il nostro capocomico nella capitale francese, con la sua troupe composta dalla prima e seconda “innamorata”
(rispettivamente, la moglie e l’amante) e gli altri componenti, tra cui il
famoso Arlecchino, Tristano Martinelli, già molto conosciuto e apprezzato in
terra di Francia; questi, con la sua introduzione presso nobili e regnanti,
costituiva una sorta di garanzia per il successo dei Fedeli a Parigi.
Non era la prima volta che la
compagnia si recava in Francia. Nel 1613, Martinelli, all’epoca sovrintendente
dei comici presso la corte ducale di Mantova, era stato espressamente
“ingaggiato” da Maria de’ Medici, sua amica personale e da tre anni reggente
della corona al posto del figlio, poiché il futuro Luigi XIII aveva meno di 9
anni quando Enrico IV fu assassinato, nel 1610.
Il gruppo dei prescelti, che si
fregiava della presenza di Virginia Ramponi e naturalmente del marito, era
partito nella tarda estate del 1613, sostando a Torino e a Chambery, per
debuttare a Parigi in settembre.3
Poco prima di
mettersi in viaggio, l’accorto Andreini aveva dato alle stampe L’Adamo, sacra rappresentazione, opportunamente dedicata a
Maria de’ Medici (12 giugno 2013). Tuttavia, se si esclude
il successo
personale del già affermato Martinelli, i comici in quella prima trasferta non
diedero prove esaltanti della loro arte, probabilmente per le difficoltà di
ambientazione e linguistiche e per l’irrisolta esigenza di un “rodaggio”, un
adattamento del loro repertorio ai gusti locali; ma il prestigio di Giovan
Battista ebbe modo di crescere, portandosi verso la fine della tournée almeno alla pari con quello di Arlecchino. Non è da
escludere che uno dei motivi di insuccesso poteva essere stato il tentativo di
“sperimentare”, ovvero portare in scena, una o più commedie di Lelio –
ovviamente incomprensibili a un pubblico di lingua francese. Infatti, la
rappresentazione de: Li duo Leli simili, avvenuta al
cospetto di Maria de’ Medici e a un ristrettissimo numero di invitati (Parigi,
1613) fu commentata con molto sfavore da F. Malherbe.4
Sette anni dopo, nel 1620, quando i
Fedeli riprendono la via per la Francia, Andreini è diretto responsabile della
compagnia; Arlecchino Martinelli è ancora con loro, ma la sua presenza ha
certamente lo scopo – sebbene non riconosciuto dall’orgoglioso interessato – di
riallacciare proficui liens d’amitié con nobili e
regnanti; di fare, in sostanza, da testimonial della troupe italiana, per le sue entrature a corte, la
popolarità e l’esperienza scenica. I gravosi compiti di gestione organizzativa
e artistica sono tutti sulle spalle dell’Andreini. La piena autonomia del
capocomico è raggiunta nel giugno-luglio 1621, quando Martinelli abbandona il
gruppo per fare ritorno in Italia, inseguendo tardivi riconoscimenti ed
esibizioni di fine di carriera, dopo che Luigi XIII, per necessità di stato,
aveva dovuto allontanarsi dal palazzo di Fontainebleau, chiedendo ai comici di
rimanere in Francia fino al suo ritorno dalla guerra. La compagnia, superato un
primo sbandamento, converge entusiasta su Parigi, esibendosi con enorme seguito
presso l’Hotel de Bourgogne – un importante spazio teatrale a uso privato –
fino a luglio 1621, prolungando poi la permanenza e gli straordinari guadagni
fino al Carnevale 1622. Lelio è ormai il padrone assoluto della troupe, mentre Florinda, che fino a quel momento aveva
guidato i Fedeli insieme al marito, provata dalla crisi coniugale, non più
giovane e forse non più attraente come un tempo, sembra retrocessa in secondo
piano e sparisce dalle cronache del tempo.5
Tornando ad Amor
nello specchio, se le vicende personali di Andreini possono aver
influito sul processo creativo, tuttavia esse rimangono nello sfondo: non
spiegano, né si sovrappongono all’audace inventiva dell’autore. E del resto, se
si volesse insistere sul gossip delle due
"Virginie", rivali nella vita e amanti in scena, proviamo a
immaginare che genere di infortuni si sarebbero verificati nella compagnia se
per la parte di Lidia, invece di Virginia Ramponi, il capocomico avesse dovuto
obbligatoriamente ricorrere alla legittima interprete della seconda innamorata,
l'odiatissima Flaminia moglie del Cecchini, per fortuna spodestata dal suo
ruolo e trattenuta col marito a Mantova, al fine di evitare che gli annosi
livori fra le due coppie di coniugi compromettessero la riuscita della tournée. Abbandoniamo questa catastrofica ipotesi e
cerchiamo di formularne qualcuna più confacente al contenuto nascosto dietro lo
specchio della commedia. Per far questo, è conditio sine qua
non concentrarsi su quanto oggettivamente il testo mette a nostra
disposizione. Numi tutelari di questa ricerca sono gli importanti autori di
studi, saggi e note critiche che si sono applicati su Amor
nello specchio, sondandone gli aspetti storici, sociali,
anticonvenzionali, trasgressivi, sessuali, drammaturgici, letterari, mitici,
simbolici, financo archetipici che questa commedia “amorosissima” racchiude.
Non possedendo la conoscenza specifica, le doti, la cultura, la preparazione di
tali esperti, mi sono limitato ad affrontare la commedia con approccio
pragmatico, a partire da ciò che la fonte primaria – il testo stampato –, mette
a disposizione dell’”esploratore”: ne è scaturita una notevole quantità di note
e precisazioni che potrebbero far luce su certi dettagli non comprensibili a
una lettura superficiale. Argomenti più generali e interpretazioni di maggior
respiro, riguardo i personaggi, e i contenuti della pièce, sono raccolti nelle sezioni
successive a questa postfazione, sotto forma di voci o schede dove sono
sinteticamente esposti i temi toccati dalle più significative “letture”
critiche di Amor nello specchio e il mio punto di
vista in proposito.6
1
[continua]
Note:
1 Vedi: Siro
Ferrone – Attori mercanti corsari. La Commedia dell’Arte in
Europa fra Cinque e Seicento, 1993, Torino Einaudi, argomento ripreso e
sintetizzato da Riccardo Lestini – Virginia Ramponi,
scheda biografia inserita nel 2009 nell’Archivio Multimediale Attori Italiani
[AMAtI]:
https://amati.unifi.it/S100?idattore=2522&idmenu=8
2 Per l’interesse
suscitato dalla traduzione in inglese della commedia di Andreini: Love in the Mirror, con testo a fronte, curata da Jon R.
Snyder, 2009, Toronto.
3 Maggiori dettagli e informazioni si trovano nella citata
scheda biografica di Virginia Ramponi, a cura di R. Lestini, v. nota 1: https://amati.unifi.it/S100?idattore=2522&idmenu=8
4 (François
de Malherbe, Œuvres, Paris, Gallimard, 1971, pp.
581-582): v. l’articolo di R. Lestini su Virginia Ramponi
A.M.A.t.I. nota 1 (paragrafo 11° della "Biografia").
5
Dalla scheda di Lestini (Virginia Ramponi, Cap.
“Biografia”, terz’ultimo paragrafo [31°]):
https://amati.unifi.it/S100?idattore=2522&idmenu=8
Forse Andreini ha qualche rimorso e si sofferma un attimo a riflettere sulla condizione della donna non più giovane e sulla sua forzata solitudine in età avanzata, quando, sfiorita, perde l’attrattiva per l’uomo: la consapevolezza dell’autore riguardo questo destino femminile, si traduce nelle parole, venate di tristezza, di Bernetta, serva di Florinda: “Uh, egli è pur la maledetta cosa il dormir sola quand’è passato il tempo per la femmina di quegli anni primi.” (IV, 3, p. 111)
6 Sono le sezioni dei Nomi, Personaggi, Temi che
concludono il presente volume.
BIONOTA
Dino Finetti è laureato in musicologia al DAMS, che frequentato negli anni in cui erano docenti come Umberto Eco e altri che avevano atto parte del Gruppo 63.
È un ferrarese che non mena vano delle sue origini, nel 2008 avventurato nell’ingrata attività di autore ed editore, pubblica quasi esclusivamente cose proprie. Ha prodotto alcuni libri ed e-book, rintracciabili in rete con il suo nome o gli eteronimi di Feroce Saladino e Anonimo ferrarese.
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