ANDREINI DIETRO LO SPECCHIO di Dino Finetti - III parte (teatro)
TEATRO
La prima parte è stata pubblicata il 22 maggio 2024 e la seconda parte il 28 maggio 2024, sempre sulle pagine di TeclaXXI
Dino
Finetti
ANDREINI
DIETRO LO SPECCHIO
Postfazione alla
Commedia di G. B. Andreini
AMOR
NELLO SPECCHIO
Terza parte
In un fondamentale
studio sui comici dell’Arte11, Siro Ferrone
sostiene in modo convincente che, scrivendo e pubblicando queste commedie nel
1622 e intorno al 1622, Andreini compie un coup d'état, un sovvertimento
della prassi molto efficace contro i tradizionali attori comici italiani (come
Tristano Martinelli) che interpretavano zanni e maschere improvvisando più o
meno liberamente sul palco. [Attori, cit. p. 213]
L'attore che si calava nella figura di Arlecchino, ad esempio, ne diveniva
tradizionalmente anche l’autore, inventando e reinventando nella performance i tratti del grande buffone, sovvertendo ogni
ruolo predefinito a lui assegnato. Le interpretazioni di Martinelli come
Arlecchino «consistevano dunque soprattutto in azioni, gesti e parole
[improvvisate] create sul palcoscenico e mai trasferite sulla pagina scritta»
[Ferrone, Arlecchino, p. IX].12 Snyder: “Nelle opere teatrali del
1622, invece, Andreini intesse insieme complessi e sapientemente strutturati
racconti attorno a coppie di amanti piuttosto che a buffi e zanni, elevando
così la trama a principio organizzativo della "nuova commedia", come
lui la definiva. La condizione di base per mettere in scena la produzione
teatrale di Andreini, era un insieme organico e disciplinato di attori,
piuttosto che un anarchico raggruppamento di commedianti agenti
individualmente, ciascuno specializzato nella rappresentazione di un unico
personaggio. [Snyder p. 361] Le numerose indicazioni sceniche, oltre alla
ricercatezza letteraria dei contenuti e del testo, comportavano che l’improvvisazione
degli attori sul palco – caratteristica distintiva di comici [maschere] e zanni
della Commedia dell’Arte – doveva essere molto ridotta, o addirittura
eliminata. Ciò induce a pensare che essendo Tristano Martinelli l’elemento
chiave della compagnia, un comico che si rapportava da pari a pari con sovrani
e regine, non avrebbe sopportato l’imposizione di una parte già completamente
scritta e individuata e totalmente estranea alle sue abitudini interpretative,
in quanto incarnazione di una maschera [e infatti, Arlecchino non compare in
nessuna delle commedie stampate a Parigi da Andreini13], mentre la sua esclusione dalle performance dei Fedeli avrebbe provocato un “incidente
diplomatico” insanabile nell’ambito della compagnia e nei personali rapporti
con l’autore-capocomico. Le esibizioni pubbliche quindi, portavano verosimilmente
in scena, i canovacci della Commedia dell’Arte; cosicché le commedie
“sperimentali” e innovative di Andreini, rimasero con tutta probabilità,
destinate ad arricchire il “curriculum” drammaturgico del loro autore, o
fruibili da un ristretto numero di persone in grado di leggerne le versioni a
stampa, testi “rivoluzionari” rispetto alla tradizione dell’Arte, pure
idealizzazioni di teatro comico, non direttamente rappresentabili sulla scena
nella loro concezione originaria, analogamente alle osservazioni, idee,
progetti e geniali intuizioni di Leonardo (che conosciamo attraverso disegni,
note, appunti manoscritti), rimaste sostanzialmente irrealizzate nella sua
epoca e confinate nei suoi codici, volutamente non leggibili, per la famosa
scrittura a “specchio”.
Snyder si chiede per quale motivo
Andreini abbia stampato in Francia le cinque commedie comprendenti Amor nello specchio, composte in italiano e non più riedite
in patria, tranne La centaura. Lo studioso americano
ricava da S. Ferrone una possibile risposta:14 Andreini considerava meritevole di
stampa una sua opera teatrale quando poteva essergli utile per lusingare un
mecenate, promuovere spettacoli o per conseguire notorietà e credito
intellettuale in determinati ambienti letterari o culturali; ciò che Ferrone
aveva definito una “capitalizzazione”, un ritorno di prestigio fornito da
creazioni teatrali (sulla tradizione della commedia “erudita” che si ispirava a
Plauto e Terenzio) “fissate” nell’edizione a stampa.
Come un moderno artist
manager, Lelio non si era mai fatto troppi scrupoli di sfruttare la
maggior fama della moglie in campo musicale e teatrale (Virginia Ramponi era
molto apprezzata presso le corti dopo la sua prova come cantante nell’Arianna di Monteverdi, dei primi del Seicento) nel proporre
spettacoli della compagnia di cui lei era il fiore all’occhiello o l’étoile. Ferrone, passando in rassegna i “contratti” che
vedevano impegnate artiste donne, constata però che chi percepiva i soldi per
le loro esibizioni non erano le dirette interessate, ma, nella stragrande
maggioranza dei casi erano uomini “di famiglia”: padri, fratelli, mariti,
congiunti, ecc.
Una funzione di questi testi a
stampa era quella di distinguere Andreini e i Fedeli dai loro principali
concorrenti italiani e francesi nell'affollato mercato teatrale parigino: gli
altri attori della Comedia dell’Arte solitamente non trasferivano sulla carta,
né tanto meno pubblicavano, ciò che eseguivano sul palcoscenico, rivendicando
raramente un particolare credito artistico per il loro lavoro.15 E il commediografo avrebbe visto
cresciuta e consolidata la sua reputazione, al fine di promuovere gli spettacoli
della sua compagnia presso i principali mecenati locali del teatro comico,
cercando anche di integrarsi nella cultura della capitale, da “italiano”,
portatore di una esperienza artistica alternativa a quella francese.
Probabilmente, c’era un’altra
importante ragione per la scelta di Parigi come luogo di pubblicazione di
queste opere teatrali. In tutta Italia, a vari livelli, era operante la
censura; i manoscritti, prima della pubblicazione, dovevano ottenere il nulla osta
dell’autorità civile del luogo; se il giudizio era favorevole, nel frontespizio
del libro stampato il tipografo riportava la frase: “con licenza de’ Superiori”16 (cui eventualmente si aggiungeva
l’imprimatur delle autorità ecclesiastiche se il libro aveva dei contenuti che
potevano riferirsi alla dottrina della Chiesa). L’ostilità degli organi
ecclesiastici nei riguardi delle commedie, degli spettacoli “profani”, degli
attori (e soprattutto delle attrici), indubbiamente era un fattore frenante che
influiva sulla composizione e produzione delle commedie in tutta la penisola,
sebbene il controllo ufficiale, di emanazione politica e/o religiosa, avesse
gradi di severità molto diversi da luogo a luogo. A Parigi, almeno fino ai
provvedimenti del cardinale Richelieu del 1629, non vi era totale disinteresse
delle autorità per i contenuti delle opere stampate, ma certamente una maggior
tolleranza, e Andreini, che pure in Italia, aveva sempre pubblicato e
continuerà a pubblicare senza subire censure – quindi adeguando preventivamente
le proprie “invenzioni” teatrali alle aspettative degli organi giudicanti –,
ha sfruttato questa maggiore libertà di espressione, portando a compimento,
nell’arco di un anno, ben cinque lavori, per quanto anche la più “licenziosa”
del bouquet di commedie pubblicate in Francia, Amor nello specchio, sia assai meno “scandalosa” di certe
commedie italiane composte nel Cinquecento, dove spesso assurgevano agli onori
della scena vizi, truffe, atti violenti, gente di malaffare, situazioni
scabrose e riprovevoli, infarcite di termini sessuali, volgari e osceni.
Ho cercato di elencare le motivazioni che, nel convincente saggio di Snyder, spiegano le mosse e l’iperproduzione di Andreini nella sua “terra promessa”.17 Tuttavia oso trarne qualche idea non del tutto allineata con la critica attuale, riferendomi principalmente ad Amor nello specchio. Ritengo che le innovazioni, anche sul piano dell’omosessualità femminile, e lo “sperimentalismo” di questa commedia siano il prodotto di una “sublimazione” teatrale, una scrittura e una trama in cui si inseriscono aulici riferimenti letterari e mitologici che imitano e sfidano le composizioni accademiche; il linguaggio usato ora aristocratico, ora aulico-poetico, ora brillante e ironico, ora parodistico (la terminologia pseudo esoterica con cui il mago esalta, come un imbonitore di piazza, le sue presunte qualità), ora colloquiale, ora basso (popolare e dialettale), volgare e osceno, stabilisce delle classi sociali più che delineare la psicologia dei personaggi. E questo eloquio eterogeneo e colorito, volto a divertire il lettore/spettatore, mira anche a soddisfare le persone colte, in grado di comprendere e apprezzare i riferimenti poetici e letterari, l’abilità retorica, i doppi sensi, i calembour, così come doveva risultare gradito ai nobili aristocratici a cui veniva dedicata la commedia, nonché a sovrani e uomini di corte.
Tuttavia le caratteristiche di
maggior pregio della commedia, la sua polisemanticità e forma raffinata
rendevano non attuabile il suo diretto passaggio alla scena, nel testo che
conosciamo. Non avrebbe potuto essere compresa, come tale, dallo spettatore francese,
e neppure da italiani di bassa istruzione, ovvero la stragrande maggioranza del
popolo. Ciò rafforza l’ipotesi che gli spettacoli per cui i Fedeli erano
celebrati in Italia e all’estero si basassero prevalentemente sulle qualità
individuali applicate al repertorio della Commedia dell’Arte, mentre Amor nello specchio e le altre commedie che videro la luce
nello stesso contesto, non fossero pensate per le tavole del teatro, ma per uno
scopo promozionale, di rappresentanza, dimostrativo delle doti letterarie del
suo autore, per acquisire prestigio e ottenere protezione e favori dai
mecenati. Qualcosa di simile alle armi e alle armature riccamente decorate del
Rinascimento che non erano utilizzate per la guerra, ma per celebrare vittorie,
manifestare forza e potenza militare e, soprattutto, dare la misura della
ricchezza e importanza del loro proprietario. Così come gli sfarzosi carri da
parata dell’antichità e i gioielli della corona delle grandi case regnanti,
troppo preziosi per essere usualmente indossati da sovrani e regine, e
destinati a particolari cerimonie e incoronazioni.
E la materia, garbatamente
trasgressiva, di Amor nello specchio, era un
indovinato cadeau per il suo dedicatario, François de
Bassompierre – comandante militare, nobile cortigiano e noto libertino –,
all’epoca quasi al culmine della sua carriera18 presso la corte di Maria de’
Medici, per ringraziarlo delle elargizioni già concesse e propiziarne i favori.
Ma anche la trasformazione operata dal mago sugli amanti “pentiti”, mutando la
loro passione amorosa in “spirto guerriero”, doveva costituire un ulteriore omaggio
al Bassompierre comandante di vittoriosi eserciti.
In definitiva, con occhio disincantato possiamo considerare questa commedia uno “specchio” per le allodole, un prodotto artistico fatto per catturare consensi, allettare mecenati, ottenere ingaggi e adulare protettori al fine di patrocinare la causa del teatro comico, favorire l’autore e la compagnia da lui diretta: uno “specchio” che ancora oggi, a distanza di quattro secoli, non manca di irretire anche noi lettori. 3 [fine]
Note: [terza parte]
11
Ferrone, Attori, mercanti, corsari. La Commedia dell’Arte in
Europa fra Cinque e Seicento, 1993, Torino Einaudi, p. 213.
12 Vedi
anche: Cécile Berger, Per un ritratto
dell’Arlecchino Tristano Martinelli, sulla rivista
web “Line@editoriale”, n. 10 – 2018 – Varia, a questo link:
https://revues.univ-tlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=992
13
Ferrone, tuttavia, individua nel personaggio di Nottola, ne: Lo schiavetto di
Andreini, una caricatura dell’uomo Martinelli.
14
Ferrone, Comici dell'arte: Corrispondenze, 2 voll.
(Firenze: Casa Editrice Le Lettere, 1993), vol. 1, p. 63.
15 Snyder, Publish (f)or Paris?,
cit., p. 364.
16
Spesso il frontespizio riportava anche l’indicazione: “Con Privilegio”, ovvero
il riconoscimento di una sorta di copyright, ottenuto dall’autorità locale, non
legato all’imprimatur.
17
Mi
approprio della bella definizione di Alice Bragato nella sua tesi di dottorato,
disponibile online: La drammaturgia sperimentale di Gio.
Battista Andreini, fra Commedia dell’Arte, poesia e teatri per musica,
Università di Bologna, 2013, pp. 28, 250, 268, 273: tinyurl.com/5bxzkntt
18
Bassompierre venne nominato “Maresciallo di Francia” nell’agosto del 1622,
successivamente alla dedica di Andreini, che è datata 18 Marzo 1622.
DINO FINETTI
BIONOTA
Dino Finetti è laureato in musicologia al DAMS, che frequentato negli anni in cui erano docenti come Umberto Eco e altri che avevano atto parte del Gruppo 63.
È un ferrarese che non mena vano delle sue origini, nel 2008 avventurato nell’ingrata attività di autore ed editore, pubblica quasi esclusivamente cose proprie. Ha prodotto alcuni libri ed e-book, rintracciabili in rete con il suo nome o gli eteronimi di Feroce Saladino e Anonimo ferrarese.
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