QUANDO IL CANAVESE ERA UN PO' FRANCESE - III PARTE - di Riccardino Massa (storia)
STORIA
Quando il Canavese era un po' francese
di RICCARDINO MASSA
Terza e ultima parte*
Le
novità amministrative nell’epoca di annessione con la Francia
Siamo giunti al momento di concederci una
riflessione sulla modernizzazione, che la società ha ottenuto dall’occupazione
francese delle terre piemontesi, per quanto riguarda l’organizzazione nella
materia riguardante lo Stato civile degli individui.
Una delle prime cose che vengono attuate
dopo l’annessione del Piemonte alla Francia è quella dell’adeguamento delle
leggi al nuovo Stato. Si ritiene quindi indispensabile, per esempio, uniformare
le disposizioni generali dello Stato Civile ₁
“Les actes de l'Etat Civil énonceront l’Année, le jour et
l'heure où ils seront reçus ; Le prénom, nom, âge, profession et domicile de
tous ceux qui y seront dénommés (Loi du 20 Ventôse an XI, art. 34 du code. Les
témoins produits aux actes de L'Etat Civil ne pourront être que du sexe
masculin, âgés de 21 ans au moins, parents ou autre, et ils seront choisis par
les personne intéressées (art. 37)”
Così si apre l’ordinanza scritta da’ “Le
Marie” de Turin, la quale verrà stampata in manifesti e che verrà affissa in
tutti i Comuni dei vari Dipartimenti. Una sollecitazione in tal senso era stata
fatta dalle prefetture nei confronti dei comuni, tanto è vero che lo stesso
manifesto (scritto in francese ed in italiano) recitava all’inizio:
“Vista
la lettera del Prefetto del Dipartimento del giorno di ieri e della legge del
20 Ventoso (10 marzo)
anno XI (Inteso che si tratta dell’anno 1802-1803
in quanto l’anno XI era iniziato il 23 settembre 1802)
si ordina che:
1) Gli
articoli di legge che portano le date di 20-26-30 ventoso e 2 germinale scorso
relativi alle formalità da osservarsi negli atti di Stato Civile saranno
pubblicati nelle due lingue, stampati in cartello ed affissi nel comune e
sobborghi.
2) In
esecuzione di queste leggi, tutti gli atti di Stato Civile saranno dal 1°
vendemmiaio prossimo (22 settembre)
in poi, ricevuti alle municipalità.
Si tratta sicuramente di una rivoluzione
dell’attività di Stato Civile. Perdono d’importanza i registri parrocchiali e
si tende ad uniformare la normativa sull’intero territorio dello Stato.
Vediamo
nello specifico ciò che stabilirono le leggi da quel momento:
Atto
di nascita
“Le
dichiarazioni di nascita verranno fatte fra i tre giorni dopo il parto,
all’Ufficiale dello Stato Civile del luogo; il fanciullo gli sarà presentato
(art 55)
Il fatto che venga rimarcata la questione
che il fanciullo dovesse essere presentato all’Ufficiale di Stato Civile non
deve farci confondere. Il termine presentare, come sinonimo di denunciare la
nascita, ci fa pensare che non bastava la dichiarazione del denunciante la
nascita, ma era fondamentale che l’Ufficiale di Stato Civile si rendesse conto
personalmente che l’infante era in vita.
Se ancora oggi nel nuovo millennio circa
un terzo dei bambini che nascono nel mondo non sono ancora registrati nelle
anagrafi degli Stati, si pensi quale doveva essere la situazione nelle campagne
italiane a fine 700.
Questa necessità, dovuta principalmente al
fatto che la mortalità infantile dell’epoca era altissima, in realtà porta con
sé una nuova filosofia nella considerazione dell’essere umano. Quando si nasce, si acquisisce i diritti
inalienabili dell’uomo. Il non essere inseriti nello Stato Civile rende la
persona un fantasma di fronte alla legge.
La preoccupazione dello Stato di salute e
di vita del fanciullo è oltre modo suffragata dall’importanza che viene data
nella dichiarazione di nascita, non tanto alla madre che lo ha partorito, ma
principalmente al padre ed in subordine a coloro che operavano in medicina. Infatti,
l’articolo dell’ordinanza prosegue dichiarando:
“La
nascita del fanciullo sarà dichiarata dal padre, od in difetto del padre dai
dottori in medicina, od in chirurgia, dalle levatrici, Ufficiali di Sanità, od
altre persone che avranno assistito al parto; e quando la madre avrà partorito
al di fuori del suo domicilio, dalla persona, nella casa, di cui essa avrà
partorito”.
Non solo era alta la percentuale di
mortalità infantile, ma era anche elevato il numero degli abbandoni di infanti.
Fenomeno questo, dovuto alle condizioni di miseria che si viveva all’epoca e
che portavano spesso le puerpere ad affidare i figli alla pubblica carità. In
altra parte dell’articolo dell’ordinanza si fa riferimento proprio a ciò:
“Chiunque
troverà un fanciullo di recente nato, dovrà rimetterlo all’Ufficiale di Stato
civile, unitamente alle vesti, e altri effetti ritrovati con il fanciullo e
dichiarare tutte le circostanze del tempo, del luogo, in cui lo avrà ritrovato.
(art. 58)”.
Naturalmente un altro aspetto trattato
dalle nuove disposizioni di Stato Civile furono quelle riguardanti il
matrimonio, o come si usava dire in epoca francese; “des actes de mariage”.
Norme
queste che al giorno d’oggi possiamo ritenere normali, ma che prima
dell’invasione napoleonica e soprattutto prima della francesizzazione del
Piemonte ciò non avveniva se non in parte.
Ad esempio, si dava corso all’articolo 63
della nuova legge di Stato civile con cui si imponeva che con l’intervallo di
almeno 8 giorni, in giornata di domenica (Giorno di non lavoro nel quale i
paesani potevano recarsi davanti alla casa comunale per avere informazioni),
davanti alla casa comunale (quindi in un luogo pubblico alla vista di chiunque,
anche se la maggior parte dei paesani non sapevano leggere) venissero
effettuate le pubblicazioni di matrimonio. Così facendo si permetteva a
chiunque avesse motivazioni ad opporsi per i motivi tutelati dalle leggi,
potesse farlo di fronte alle autorità.
Non vi era all’epoca ancora una regolare
registrazione fatta delle nascite se non in taluni registri parrocchiali,
almeno sino a quando appunto le leggi napoleoniche non regolamentarono la
materia. Infatti, per sposarsi era necessario che l’atto fosse supportato da un
atto di nascita nel quale si comprovasse l’identità della persona che si doveva
maritare. Soprattutto nelle campagne ciò spesso non avveniva, vi erano in giro
persone che non erano mai state registrate come viventi. Al fine anche di
superare questo grosso limite riguardante gli atti, nel caso lo sposo o la
sposa (molto più sovente lo sposo) non fosse in possesso dell’atto di nascita
si poteva ovviare con una dichiarazione (atto di notorietà) inviato dal Giudice
di Pace del luogo di nascita o di suo domicilio (art. 70 della Legge sullo
Stato civile).
La legge del 26 ventoso anno XI
all’articolo 159, imponeva il matrimonio civile, facendo decadere la tradizione
che i matrimoni fossero effettuati solo ed esclusivamente presso i luoghi di
culto. Agli occhi del clero dell’epoca apparve subito come una intromissione
dello Stato negli affari della chiesa, in realtà bisogna anche dire che era
necessario uniformare su tutti i territori le norme giuridiche che purtroppo
venivano trattate spesso in modo diverso e che spesso erano anche a totale
appannaggio del curato di turno (la storia di Don Abbondio nei Promessi Sposi
insegna quanto questi potessero essere esposti alle angherie del signorotto del
luogo). In realtà la legge non vietava il matrimonio religioso, ma riteneva
valido agli effetti di legge quello civile;
“le mariage sera célébré publiquement devant l’Officier
Civil du domicile de l’une des parties. Le domicile quant au mariage,
s’établira par six mois d’habitation continue dans la Commune (art. 74)
Questa formulazione che imponeva il
domicilio nella comunità per gli sposi, almeno per sei mesi, era legata al
fatto che spesso delle fanciulle venivano anche sposate da giovani di passaggio
sul territorio, i quali poi, dopo la prima notte di nozze se ne andavano
facendo perdere le tracce. Si trattava insomma di una norma che tentava di dare
protezione alle giovani.
Gli articoli che vanno dal 144 sino al 158
stabilivano inoltre un limite d’età per il matrimonio e le regole per accedere
a detto istituto.
“L’Uomo
prima dei diciotto anni e la donna prima dei quindici anni parimenti compìti
non possono contrarre matrimonio”
Questo era un ordine categorico, da questo
poi derivava ulteriormente una altra tutela riguardante il consenso dei
genitori. Infatti, stabilito il principio poc’anzi scritto si aggiungeva anche
che:
1) Il
figlio che non ha raggiunto l’età dei venticinque anni compiuti
2) La
figlia che non ha ancora raggiunto i vent’anni compiuti non poteva contrarre
matrimonio senza il consenso dei loro genitori, ma in caso di disparere tra i
due genitori era sufficiente il parere del padre (La società patriarcale
contadina si manifestava anche con questa supremazia tra le volontà dell’uomo
su quelle della donna). La forte mortalità di quegli anni spesso poneva
condizioni per le quali i due sposi non avevano più i genitori per un precoce
decesso di questi. In tal caso si individuavano gli avi come tutori ed in
mancanza di questi il “Consiglio di Famiglia” normato dalla stessa legge.
La legge, all’articolo 155, proibiva il
matrimonio tra tutti gli ascendenti e i discendenti legittimi o naturali ed i
congiunti della stessa linea. Inoltre i successivi articoli di legge (156 e
157) proibivano il matrimonio tra fratello e sorella legittimi o naturali e tra
zii e nipoti. Questo tentativo di mettere ordine all’organizzazione dello Stato
civile, per il solo fatto che fosse stato codificato, ci fa intendere come
all’epoca era frequente nelle campagne lo sposalizio tra persone della stessa famiglia.
Ciò avveniva principalmente nelle campagne ove era meno frequente il controllo
sociale delle autorità e vi era anche scarsa mobilità sociale. Questo atto
tendeva a difendere il proprio clan dalle interferenze di altri, senza rendersi
conto che la consanguineità, nei riguardi della possibile prole, sarebbe stata
foriera della crescita di malattie genetiche e ritardo mentale.
Naturalmente le conseguenze alle
imposizioni date dalla legge facevano divenire nullo il matrimonio stesso (art.
158)
“Tout mariage qui n’à pointe été contracté publiquement,
et qui n’à pointe été célébré devant l’Officier public compétant, peut être
attaqué par les époux eux-mêmes, par le père et mère, par les ascendants, et
par tous ceux qui y ont un intérêt né et actuel, ainsi que le ministère public.”
Nessuno, quindi, poteva reclamare la
condizione di sposo e gli effetti civili del matrimonio senza essere in
possesso di un atto che dichiarasse la celebrazione per iscritto nei registri
dello Stato Civile. Naturalmente vista la situazione di vera anarchia esistente
fino a quell’epoca non sarebbe stato possibile per tutti aver il possesso di
tali atti. Per questo motivo la stessa legge inserì la clausola che ne venivano
esclusi coloro vissuti in luoghi dove non vi erano registri di Stato civile e
comunque prima dell’entrata in vigore della stessa legge (art. 46 del 20
ventoso).
La cosa interessante veniva messa in
evidenza successivamente, e cioè lo Stato laico francese introdusse in Italia
anche il Divorzio, che in epoca moderna si poté ottenere solo con la legge n.
898 del 1° gennaio 1970 (tra l’altro parte del modo clericale italiano condusse
una battaglia per portare al referendum abrogativo tale legge, e quest’ultimo
venne effettuato il 12 maggio del 1974 con la vittoria di chi voleva che
l’istituto del divorzio fosse mantenuto). Lo Stato francese occupante le nostre
regioni introdusse comunque delle regole che individuassero le giuste cause di
scioglimento del matrimonio.
Secondo la legislazione, introdotta dallo
Stato francese, si prevedeva che il matrimonio potesse sciogliersi per le
seguenti cause:
1) Decesso
di uno degli sposi
2) Col
divorzio legalmente pronunciato
3) Colla
condanna divenuta definitiva di uno degli sposi, portante “Morte civile” ₂
Ma vediamo come veniva normato l’istituto
del divorzio in epoca napoleonica.
La domanda di divorzio, fosse per causa
determinata, oppure per mutuo consenso, doveva essere presentata al tribunale
civile del circondario in cui gli sposi domiciliavano. Nel caso tale domanda
fosse stata ritenuta valida dal tribunale lo sposo che l’otteneva (da ciò si
nota come anche in caso di divorzio la donna non aveva nessun tipo di diritto)
doveva presentarsi davanti al tribunale entro e non oltre i due mesi dalla
sentenza (pena la decadenza stessa della sentenza). Nel caso di non
presentazione non solo la sentenza emessa non avrebbe più avuto valore, ma lo
sposo non avrebbe mai più potuto beneficiare dell’istituto del divorzio. Nel
caso di comune decisione, i due congiunti, una volta ottenuta la sentenza
avevano l’obbligo di presentarsi entro 20 giorni dalla data di emissione per
profferire divorzio. Trascorso detto tempo, la sentenza sarebbe stata ritenuta
nulla.
Come ben si sa, con l’età napoleonica
nasce il moderno cimitero. Non che prima i cimiteri non ci fossero.
Nell’antichità si chiamavano Dolmen, Piramidi, Catacombe, insomma le necropoli
(dal greco Necropolis, cioè città dei morti) che si differenziavano
dalle città dei vivi. Poi nel medioevo si permise la sepoltura all’interno dei
centri abitati e soprattutto la vicinanza di chiese dove erano custodite le
reliquie sacre. I cimiteri come li conosciamo oggi si costituiscono proprio
dopo l’epoca napoleonica ed esattamente con l’editto di Saint Cloud₃
da parte di Napoleone nel 1804 ed applicato in Italia nel 1806. Tale editto
imponeva che i cimiteri fossero posti al di fuori delle città, in zone
soleggiate ed arieggiate, tutte uguali. Se da un lato ciò era legato ad un
fatto ideologico al fine di garantire a tutti i defunti, senza distinzione di
classe sociale, lo stesso trattamento dopo la morte. È ovvio che tale editto
rispondeva anche a ragioni più prettamente igienico-sanitarie, volendo evitare
per esempio che la degenerazione dei corpi portasse anche una forma di
inquinamento delle acque. Spesso l’acqua era attinta da pozzi che erano vicini
alle case. La gestione dei cimiteri veniva così affidata alla pubblica
amministrazione e quindi doveva essere normata anche da un punto di vista
regolamentare.
L’articolo 77 della legge del 20 ventoso,
tra l’altro, riportava che non fosse possibile effettuare nessun funerale senza
l’autorizzazione dell’Ufficiale di Stato civile. Naturalmente sarebbe bastata
una dichiarazione su carta semplice e senza alcuna spesa (vista l’estrema
povertà nei borghi sarebbe stato disumano chiedere denaro per autorizzare una
sepoltura). Anche questa norma andava nella direzione di regolamentare le
profonde differenze giuridiche che su tale materia dividevano il territorio
nazionale. Verrà imposto quindi la redazione su tutto il territorio occupato
dai francesi, di un atto di morte da parte dell’ufficiale di Stato civile,
suffragato da due testimoni del decesso. Non solo, ma proprio per evitare che
le consuete omonimie procurassero confusione tra chi era ancora in vita e chi
no, si normò che sull’atto dovessero essere scritte anche le seguenti notizie:
Cognome,
nome, età, professione, domicilio della persona defunta. A questi dati si
aggiungevano obbligatoriamente il cognome, nome dell’altro sposo se la persona
era maritata. I cognomi, nomi, età, professioni e domicilio dei dichiaranti ed
inoltre, quando questo fosse possibile anche il cognome, il nome ed il
domicilio del padre e pari tempo quello della madre del defunto nonché il luogo
della nascita.
Anche l’adozione di un minore veniva
normata per quanto riguarda i ragazzi che si trovavano in condizione di non
avere genitori. Questa veniva garantita, dopo una sentenza del giudice che
riconosceva il minore nella condizione di non avere tutele.
Non dobbiamo pensare che l’istituto
dell’adozione fosse una novità. Storicamente troviamo cenni già 2.000 anni
prima dell’era cristiana. Se ne rinvengono indicazioni già nel codice di
Hammurabi. Poi nella Bibbia ebraica ₄. E poi ancora nel mondo
dell’antico Egitto (il piccolo Mosè che viene adottato dalla figlia del
Faraone). E poi nel più recente Diritto Romano come organismo che si presenta
indipendentemente dal vincolo di sangue o di parentela. Ma nell’epoca medioevale,
dopo la caduta dell’Impero Romano, in parte, questo istituto venne soppiantato
dai diritti feudali. Dal XVII secolo poi si trasformò ulteriormente in una
forma contrattuale tra privati e solo con il XIX secolo, dopo le rivoluzioni
liberali assunse l’attuale forma giuridica.
Nelle aree rurali, ma spesso anche nelle
città, sovente i bambini (non registrati allo Stato civile), erano venduti per
una condizione di povertà da parte della famiglia d’origine. E chi li
acquistava in genere lo faceva per poterli sfruttare nel lavoro.
Per ovviare a questo stato di schiavitù
tipica dei secoli precedenti, bisognava introdurre una condizione giuridica che
permettesse lo stato di adottabilità di un minore. Lo stato adottivo doveva essere scritto nella
sentenza stessa permettendone l’esecuzione e dopo tre mesi dalla sentenza
stessa, l’adottabilità poteva essere iscritta nel registro dello Stato Civile.
Insomma, il periodo francese anche nel
nostro Canavese fu portatore di novità giuridiche che influenzarono anch’esse
la nascita dello Stato moderno.
NOTE
1
Archivio Comune di Montanaro fascicoli AS 569-570
2
La “Morte civile” è un istituto giuridico che si utilizzò sino al
diciannovesimo secolo e che consisteva nella privazione della capacità
giuridica come conseguenza di una condanna giudiziale. Comportava la perdita di
tutti i diritti civili e l’allontanamento del soggetto dalla società. La Morte
Civile non è più ammessa negli Stati come la Repubblica Italiana in quanto
lesiva dei diritti inalienabili dell’uomo. Il Code civil francese ancora nel
1804 prevedeva tale istituto. Erano trattai quindi come defunti anche i
condannati alla pena capitale (che magari erano sfuggiti alla giustizia
attraverso l’emigrazione oppure anche i condannati ai lavori forzati. Questo
istituto che per la gran parte degli Stati fu abrogato nel corso del
diciannovesimo secolo (1831 in Belgio, 1848 in Prussia, 1854 in Francia) restò
purtroppo ancora in vigore nel ventesimo secolo in alcuni paesi extra europei
(1906 nel Canada francofono, 1943 in Cile)
3
Editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804 raggruppò in due corpi legislativi
tutte le precedenti norme frammentarie sui cimiteri.
4
Esther fu adottata da Mardocheo
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RICCARDINO MASSA
Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.
Grazie per averci ricordato , per il Piemonte, l’importanza del periodo francese, nel bene e nel “meno bene”. Oltre agli aspetti civili e amministrativi, quelli urbanistici, che hanno disegnato alcuni grandi viali alberati, la riforma daziaria e molto altro
RispondiEliminaAlla prossima
Grazie Riccardino
Maria giustina crusca