Imbrigliare l'infinito (MATEMATICA) ~ di Giulio Cirulli - TeclaXXI
MATEMATICA
Giulio Cirulli
Imbrigliare
l’infinito
Prima di leggere questo articolo consiglio
caldamente la lettura del mio articolo La scala infinita.
Uno dei concetti più importanti in matematica è quello di limite.
Da quando l’uomo
ha inventato, o scoperto, la matematica (su questo argomento sono decenni che
filosofi della scienza si scornano) ha cercato in qualche modo di imbrigliare l’infinito,
in un atto di Hybris simile a quella di Icaro.
Quello di infinito
è probabilmente il concetto matematico e filosofico più aspro da gestire per la
mente umana, giacché immaginare qualcosa di privo di limiti e/o fine è
inconcepibile e di per sé sfuggente.
Già ai tempi di
Zenone si sono però fatti dei tentativi di imbrigliare questo concetto
giungendo a formulare dei paradossi.
Sono sicuro che, basterà
citare come esempio la freccia che rimane ferma nello spazio o il paradosso di
Achille e la Tartaruga, affinché tutti ricordino di avere incontrato nella
propria vita scolastica degli esempi di limite, magari senza saperlo.
Nelle due
formulazioni Zenone commette un errore nelle premesse, ossia quello di
considerare in entrambi i casi lo spazio e/o il tempo come qualcosa di discreto
e non di continuo.
Mi spiego meglio. Nel
primo paradosso sostiene che una freccia in volo, in realtà, è ferma perché, se
noi scomponiamo il tempo in unità di tempo sempre più piccole la freccia
occuperà solo la sua lunghezza divenendo perciò immobile[1]. Quanto al
secondo paradosso, quello di Achille e la tartaruga, vi è sempre il problema
delle quantità continue trattate come discrete. In questo paradosso Achille
corre con una tartaruga, mentre noi immaginiamo che manchi al termine della
gara la differenza di quanto percorso dalla tartaruga nel frattempo. In questo modo
Achille non arriva mai al traguardo, perché mancherà sempre “1/n2”
all’arrivo.
Anche Archimede di
Siracusa arrivò vicino al concetto di limite.
Infatti
il genio siracusano si pose il problema di calcolare l’area di una superficie
circolare che avendo a che fare con un «numero incommensurabile» (il pi greco)
era impossibile da calcolare se non con il metodo di Esaustione, ossia
dividendo il cerchio in tante aree rettangolari sempre più piccole e sommandole
fra loro. In questo modo si otteneva un’approssimazione dell’area del cerchio[2] [3].
Ci vorranno però quasi 2000 anni perché i matematici riescano a imbrigliare l’infinito (o almeno provarci) in maniera formale, e ciò sarà fatto in maniera indipendente e contemporaneamente da Leibniz e Newton. Si può dire che due tirarono fuori dal cilindro il concetto di limite, che ho citato di continuo.
Ma che
cosa è esattamente il limite? In sostanza ci si domanda che cosa succede
all’interno di una funzione o in una serie numerica quando ci si avvicina all’infinito.
Come si comportano le «regioni» di un ente matematico al limitare dell’infinito?
Per
saperlo si consideri il suo limite. Ad esempio, la serie numerica (di
ragione 1/n2) che blocca Achille porta all’infinito a 0, per cui ad
un certo punto Achille arriva al traguardo perché la distanza da percorrere
sarà talmente piccola da essere zero.
Allo stesso modo
se il numero di rettangoli che riempiono il cerchio diventano infiniti, allora
la somma delle loro aree sarà identica a quella del cerchio.
Potremmo a questo punto esclamare: «Ah, abbiamo finalmente domato l’infinito»?
Mi dispiace, ma le cose non stanno così.
Tornando infine alle serie numeriche, notiamo che vi sono quelle che «convergono», ossia all’infinito raggiungono un valore finito, come quella di Achille di cui sopra, ma vi sono anche altre che «non convergono», ossia esplodono all’infinito, come la somma di tutti i numeri naturali[4], o ancora peggio oscillano, ossia non convergono ad un solo valore, come la serie -1n.. Quest’ultima, infatti, avrà come somma un limite che, in base alla posizione, varrà 0 o 1, per l’appunto oscillando.
Ma situazioni più
complicate si verificano con il calcolo del limite di una funzione. Questo
succede a causa di quelle situazioni legate alle forme di indeterminazione,
ossia qualsiasi numero diviso lo zero, o quando si sommano gli infiniti etc.
In questi casi l’infinito non solo non viene imbrigliato ma ci fa anche la pernacchia.
Finora abbiamo parlato di matematica, ma le funzioni e i limiti sono di fondamentale importanza in fisica. Per esempio, nel caso della velocità istantanea, in cui il limite del rapporto fra la distanza percorsa nell’unità determina la grandezza “velocità” nell’istante.
Ora,
detto ciò, bisogna aggiungere che con funzioni matematiche enormemente più
complicate all’interno di modelli fisici ben più complessi di quelli della velocità,
avremo a che fare talvolta con forme di indeterminazione. Ma, quando in fisica
si verificano queste situazioni, allora il modello perde la sua capacità
descrittiva e si necessita un nuovo approccio che porterà ad un nuovo
paradigma.
Molteplici sono gli esempi che potrei fare
da questo punto di vista.
Ma mi
limito (scusate il gioco di parole) che i limiti sono il mezzo per leggere –
per riprendere le parole di padre Dante – «ciò che per l’’universo
si squaderna».
[1] In questo paradosso oltre al considerare unità continue
come discrete Zenone viene limitato dal fatto che i greci non sapevano che la
velocità fosse il rapporto fra spazio e tempo.
[2] Maggiore il numero di rettangoli maggiore la precisione
dell’approssimazione.
[3] Questo metodo in realtà sarebbe un integrale, ma di base
l’integrale è un passaggio a limite.
[4] Anche se con l’estensione analitica della serie
quest’ultima converge a -1/12, un risultato folle ma comprovato.
Romano di Roma, appassionato di scienze, matematica, storia romana, medievale e storia delle religioni. Non prende nulla seriamente se non le cose serie: Carbonara, Scienze e Numeri.
Diplomato all’istituto agrario e laureato in fisioterapia, insomma, braccia riabilitate per l’agricoltura.
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