Una perla nera della lirica: Shirley Verrett (melodramma) ~ di Riccardino Massa - TeclaXXI

 TEATRO & OPERA LIRICA

 


Riccardino Massa

 

Una perla nera della lirica: Shirley Verrett

 

foto fornita dall'autore

Era il novembre del 1956, quando una ragazza borghese dalla pelle d’ebano assistette dalla platea del Metropolitan di New York alla Norma che Vincenzo Bellini. L’interprete di Norma fu in quell’occasione la divina Maria Callas e Shirley Verrett era appena venticinquenne poiché nata a New Orleans il 31 maggio del 1931. Venne affascinata da quella musica, dedicandosi alla teoria, al pianoforte, ma soprattutto al canto. Fu spinta a quest’interesse artistico dal padre.

Il canto per lei era solo un vezzo usato principalmente nelle riunioni famigliari e durante le funzioni religiose, ma coloro che la sentirono cantare, ancora giovinetta, compresero subito che quella voce, anche se ancora immatura, risultava già interessante, sana e soprattutto singolare nell’estensione.

In gioventù ebbe comunque modo di partecipare ad alcuni concorsi, qualificandosi sempre in ottime posizioni ed ebbe anche un’offerta importante di lavoro nello show televisivo di Ed Sullivan, importante conduttore televisivo. Conobbe in quel periodo il compositore e paroliere Richard Charles Rodgers che, in coppia con Lorenz Hart, andava per la maggiore nelle produzioni di Musical. Rodgers le propose una partecipazione a un suo nuovo lavoro, ma la Verrett rifiutò, perché il suo obbiettivo non era Brodway bensì il canto lirico. Pur scontento della decisione di non aderire all’offerta, Rodgers ben comprese il valore di quella voce e le assegnò una borsa di studio alla Juilliard School di New York.

Fu rapita dal fascino della Callas al punto che intensificò ulteriormente gli studi musicali, cercando anche ulteriori sbocchi professionali in campo canoro e partecipando a diversi concorsi, fino a intervenire alla selezione per la partecipazione ad una produzione televisiva che le cambiò la vita. Si trattava del Talent Scouts diretto da Arthur Godfrey. È in quella occasione che venne ascoltata da una persona che divenne importante per la sua carriera. Si trattava dell’insegnante di canto nonché cantante Madame Marion Szekely- Freschl1, che ebbe grande importanza per gli artisti di etnia afroamericana negli Stati Uniti. Con lei iniziò un lungo periodo di perfezionamento, ma giungendo già nel 1957 a debuttare all’Antioch College Shakespeare Festival di Yellow Springs nell’ Ohio con l’opera da camera The Rape of Lucretia2 di Benjamin Britten. La voce della Verrett si collocava in un registro medio -grave, ma capace di squillare facilmente anche in alto. Le porte dei teatri americani si aprirono subito dopo il suo debutto, mentre l’esordio europeo avverrà a Colonia nel 1959 con l’opera di Nikolas Nabokov Rasputin’s End. La conquista del pubblico In Italia avvenne invece interpretando la Carmen di G. Bizet nel 1962 a Spoleto per il Festival dei due mondi. La prima Carmen di colore, così titolarono i giornali. Lo stesso ruolo lo interpretò molte volte e poi lo portò negli Stati Uniti al Met nel 1968. Mentre in Europa la sua capacità canora venne subito valorizzata, purtroppo nel suo Paese d’origine non ebbe certo vita professionale facile, visto che ancora nei primi anni Sessanta, invitata a cantare a Houston nel Texas, fu rifiutata dai professori dell’orchestra sinfonica, che non vollero esibirsi con una cantante di colore. La sua testardaggine era nota agl’impresari teatrali e ai Direttori artistici dei Teatri Lirici. Voleva essere un soprano anche se tutti le offrivano ruoli da mezzo soprano a cominciare da Herbert von Karajan, che la spinse a pensare seriamente al ruolo di Azucena nel Trovatore di Verdi3. Un ruolo probabilmente più congeniale a lei, anche se giunse ad interpretare addirittura ruoli con voce più profonda, da contralto, come quello di Ulrica nel Ballo in maschera di G. Verdi4.

In realtà, la sua voce poteva definirsi un soprano Falcon5 che è una variante del soprano drammatico con timbro ibrido simile a quello del mezzosoprano.

Il primo ruolo che preparò interamente in Italia fu a Firenze interpretando la Regina Elisabetta nella Maria Stuarda di G. Donizetti. Invece, al Teatro alla Scala di Milano debuttò nel 1970 con Sansone e Dalila di C. Saint-Saëns. Celebre fu anche la sua partecipazione nel film-opera del 1987 Macbeth. Pellicola che venne trasformata in DVD, prodotto dalla Deutsche Grammophon, diretto da Chailly con la regia di Claude D’ Anna.

Famoso era il suo amore per l’Italia e il canto italiano. Infatti, risiedette per anni a Roma e si ricordano ancora le sue parole: «In America, come in Inghilterra, al cantante è concessa una maggiore libertà interpretativa, in Italia il rispetto del testo è un punto di partenza rassicurante per chi crede negli autori e in ciò che hanno scritto». Una dichiarazione che ci mostra un personaggio sempre impegnato nel rispetto dell’autore, ma anche della tecnica come àncora di sicurezza.

Una volta deciso di interpretare un ruolo, pur essendo in scena una leonessa, era costantemente in dubbio di poterlo interpretare. E, prima di interpretare un nuovo ruolo, era solita negarsi. Si ricordano i suoi no a Claudio Abbado per Lady Macbeth e poi successivamente per Carmen, a Massimo Bogiankino per Medea, a Herbert Adler per Selika, tutti ruoli che poi alla fine seppe interpretare magistralmente.  Era cosciente di questo suo essere sempre troppo dubbiosa. Dichiarò infatti: «Noi cantanti abbiamo molto bisogno di essere incitati. Siamo troppo persuasi di conoscerci a fondo, quindi tendiamo ad essere prudenti, a volte eccessivamente prudenti».

Probabilmente questa insicurezza nasceva anche dal continuo confronto con le grandi stelle della musica dell’epoca. Il suo idolo sempre Maria Callas, che spesso andò a trovare nella sua casa di Parigi quando ormai anch’essa era divenuta famosa. Anche la Verrett si stabilì per un certo periodo in questa città Il ruolo di Norma (Che l’aveva conquistata sentendo cantare proprio la Callas) debuttò però solo nel 1976 al Metropolitan dopo aver interpretato nella stessa opera già il ruolo di Adalgisa. Il fatto che la sua voce si era modificata nel tempo è stato quindi un bene, perché le ha permesso di interpretare ruoli molto diversi tra loro, da soprano come da mezzo soprano. Pur mantenendo un timbro caldo e vellutato, ormai la sua voce si estendeva per quasi tre ottave.

In tarda età, più matura nei giudizi, seppe anche che le sue interpretazioni avevano un valore diverso, trovando lei stessa ciò che le era più congeniale. Disse su questo argomento: «Verdi mi piaceva più all’inizio di carriera, quando cantavo da mezzosoprano, perché in questo registro avevo la possibilità di interpretare ruoli di donna dal carattere forte che mi interessavano: Amelia nel Ballo in maschera, ad esempio, mi piace musicalmente ma come personaggio riesco a impadronirmi d’una sola dimensione. È stato un errore cantarlo. Un errore perché non posso cantare senza immedesimarmi totalmente nel personaggio. Il repertorio francese invece, si adatta particolarmente alla mia voce e lo amo in modo particolare»6

Sempre nella medesima intervista tornò ancora sui suoi ricordi giovanili. Disse anche che ebbe la fortuna da giovane di ascoltare cantare Marion Anderson7 e che questa fu un suo mito. Ciò per il fatto che con la Anderson si aprì la strada alle cantanti afroamericane, che vennero dopo di lei in una nazione ancora fortemente segregazionista. Oltre alla Verrett ricordiamo Leontyne Price, Grace Bumbry, Martina Arroyo. Anche se lei stessa disse che da bambina, pur cosciente di vivere in un mondo ancora terribilmente razzista, si sentiva comunque protetta dalla sua stessa comunità e non visse direttamente gli aspetti più terribili della segregazione. Poi quando la sua famiglia si trasferì in California si trovò per forza di cose a frequentare un mondo più multietnico e quindi più aperto all’incontro tra culture diverse.

Oltre alla vocalità ciò che caratterizzò questa cantante furono anche le doti interpretative, quello che nei paesi anglosassoni viene definito total package (mal tradotto con “pacchetto totale”), cioè quelle caratteristiche legate alla aderenza al testo, incisività nel fraseggio, abilità nella presenza scenica. Per il pubblico tutte caratteristiche che una artista lirica deve possedere in un’epoca post-callasiana.

I grandi trionfi al Teatro alla Scala di Milano, oltre al già citato ruolo nel Sansone e Dalila del 1970, furono nel Ballo in maschera di G. Verdi nella stagione 1977/78 con la regia di Franco Zeffirelli ed ancora la Carmen di G. Bizet nel 1984 con la regia di Piero Faggioni.

Celebre fu però anche il fatto increscioso successo nella stagione 1987/88 all’Opera di Roma, quando le imposero di cantare il Macbeth mentre era indisposta. Dopo l’aria “Vieni t’affretta” fu colpita da completa afonia e si dovette sospendere la recita in quanto il teatro (In questo caso il vero colpevole del fatto) non aveva previsto una eventuale sostituzione.

La sua fu una vita professionale intensa, lavorò con i più grandi direttori d’orchestra: Claudio Abbado, Leopold Stokowski, Thomas Schippers, Sir Georg Solti, Bernstein, Levine, Mehta, Chailly e poi ancora George Prêtre, Giulini, Maazel e il grande Herbert Von Karajan.

Sentendo ormai il peso degli anni, nel 1992 da l’addio alle scene intrepretando il ruolo di Leonora di Guzman nell’opera La Favorita di G.  Donizetti. Partecipò ancora, quasi per gioco, nel 1994 al Musical Carousel a Broadway interpretando la parte di Nettie, ma si dedicò sempre di più alla sua seconda vita professionale, cioè all’insegnamento. Nel 1996 divenne docente di canto all’Università del Michigan, là dove insegnò per ben 14 anni. Muore per un attacco cardiaco il 5 novembre del 2010 nella sua casa di Ann Arbor.

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1 Marion Szekely- Freschl (Zvolen – Slovacchia – 1896 – New York – USA – 1984) Cantante lirica con voce da contralto e insegnante di canto, membro delle facoltà di canto del Curtis Institute of Music e della Juilliard School.

2 Opera su libretto di Ronald Duncan (ispirata a Livio, Ovidio e Shakespeare), tratta dalla tragedia Le Viol de Lucrèce di A. Obey, in italiano tradotta erroneamente “Il ratto di Lucrezia”, ma in realtà in inglese “Lo stupro di Lucrezia”.

3 Ruolo e Opera che incise per la Decca solamente nel 1990 diretta da Zubin Mehta con Luciano Pavarotti, Antonella Banaudi, Leo Nucci).

4 Incisione del 1966 per la RCA diretta da Erich Leinsdorf con Carlo Bergonzi, Leontyne Price, Robert Merrill.

5 Prende il nome dal soprano drammatico francese Marie-Cornélie Falcon che possedeva una vocalità su un registro centrale esteso su quello basso.

6 Intervista rilasciata al critico musicale Angelo Foletto, dal 1996 presidente dell’associazione nazionale critici musicali.

7 A Marion Anderson, cantante afroamericana, fu impedito di cantare alla Costitution Hall. Ne seguì una polemica che coinvolse anche la moglie del Presidente Franklin Delano Roosevelt, Anna Eleanor Roosevelt, la quale si batté per fare in modo che la Anderson potesse cantare in pubblico e organizzo un grande concerto all’aperto al Lincon Memorial, concerto che fu seguito da migliaia di persone, tra cui anche Shirley Verrett.


RICCARDINO MASSA


BIONOTA

Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.

 


 

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