Ernst Lubitsch: il berlinese che lasciò il suo segno a Hollywood (ALLA SCOPERTA DI BERLINO) ~ di Carla Mazzarelli - TeclaXXI
ALLA
SCOPERTA DI BERLINO
Carla
Mazzarelli
Ernst
Lubitsch: il berlinese che lasciò il suo segno a Hollywood
C’è
un po’ di tutto: dagli 007 più vecchi alle commedie di Eduardo, dalla
collezione di Hitchcock alla raccolta completa dei Maigret interpretati da Gino
Cervi. Uno spazio consistente è dedicato alle vecchie commedie americane,
soprattutto quelle in bianco e nero – per capirci, quelle con Gene Tierney,
Bette Davis, Greta Garbo e Marlene Dietrich, Hedy Lamarr, Doris Day e Mirna Loy,
fino alle più moderne con Grace Kelly, Marylin Monroe, Audrey Hepburn. È
impossibile nominarle non dico tutte, ma nemmeno le più importanti senza fare
torto a qualcuna. Mi pervade una nostalgia verso quel “mondo” rappresentato e
ancor di più se penso ad alcuni interpreti maschili: Cary Grant, James Stewart,
Gary Cooper e alla loro gentilezza di modi e signorilità. So perfettamente che
oggi ci sono interpreti eccezionali (Meryl Streep e Al Pacino, per fare solo due
nomi), ma le immagini delle vecchie commedie americane mi rilassano, mi
divertono, mi alleggeriscono gli occhi dalle brutture che siamo costretti a
guardare ogni giorno nell’attualità. Insomma, esse rappresentano un intervallo
di serenità, che mi dà per gli occhi «una dolcezza al core che’ntender no la può
chi no la prova» (chiedo scusa della citazione in apparenza un po’ pedante, ma
il verso dantesco si è scritto da solo!).
Avrò
visto almeno una decina di volte Come sposare un miliardario, che pure è
relativamente recente, a colori e del ’53, con l’elegante Lauren Bacall e la
straordinaria Marilyn Monroe nei panni di una ragazza estremamente miope che, per
non apparire meno bella, non si mette gli occhiali. Ne conosco le battute a
memoria, eppure ogni volta mi diverto e mi si addolcisce lo sguardo ad ammirare
gli arredi elegantemente colorati e modernissimi dell’appartamento in cui loro
vivono. Mi rendo anche conto del maschilismo che pervade l’intera pellicola, ma
francamente non me ne importa niente, perché trovo molto più sincera e raffinata
questa di altre commedie pur “politically correct” contemporanee.
Ma
ora è il momento di trattare Il cielo può attendere, il film con il
quale comincerò a scrivere di Ernst Lubitsch. Questo suo film è stato
realizzato nel 1943 (Heaven can wait), è tratto da
un’opera teatrale di Leslie Bush-Fekete, ed è l’unico film in technicolor del
regista. I protagonisti sono Gene Tierney e Don Ameche, ma non posso non citare
Charles Coburn (il giudice de Il caso Paradine di Hitchcock). Che dire?
Sono quasi due ore di dialoghi raffinati a volte divertenti altre volte sarcastici,
a tratti perfino tristi e commoventi, quasi amari. È il racconto in flashback dell’intera
vita del protagonista sottoposto al giudizio nell’aldilà e il cui finale, che
non svelo per chi non l’avesse ancora visto, fu censurato e soppresso in
Italia. Il film segue di un solo anno il più famoso Vogliamo vivere! (To
be or not to be,1942), una satira sul nazismo, caratterizzato anche questo
da quello che Billy Wilder definì il “tocco alla Lubitsch”, riferendosi allo stile
elegante e leggero con cui è capace di affrontare anche temi complessi. Un
esempio celebre è costituito dal film Ninotchka (1939), che mette in
evidenza l’enorme differenza culturale tra l’Occidente e l’Unione Sovietica
attraverso un gioco anche psicologico e amoroso. Di Ninotchka ha già scritto
su TeclaXXI il direttore Alessandro Iovinelli, focalizzandosi soprattutto sul
meccanismo che provoca la risata (credo l’unica nella sua carriera, sicuramente
la prima) di Greta Garbo. Anzi, proprio la lettura di questo articolo mi ha
invogliato a scrivere di Lubitsch, partendo proprio dalle sue origini berlinesi.
Nel
1938 fu tra i soci fondatori dell’European Film Fund, che aiutava gli intellettuali
europei in fuga dal nazismo. Lubitsch fu nominato presidente del fondo, in
quanto considerato il più famoso regista europeo ad Hollywood: tra i beneficiari
vi furono anche Heinrich Mann, Alfred Döblin, Bertolt Brecht e molti altri più o
meno famosi.
Ernest
Lubitsch fu candidato tre volte al premio Oscar come regista, anche per Il
cielo può attendere, ma ricevette soltanto nel 1947 il premio alla carriera,
poco prima di spegnersi a Hollywood il 30 novembre dello stesso anno.
BIONOTA
Sono nata a Roma nel 1957.
Dopo essermi laureata in Lettere presso l'università La Sapienza, sono entrata in ruolo ed ho insegnato prevalentemente nei licei artistici. Venuta in contatto col mondo dell'arte, soprattutto romano, ho aperto negli anni ’90 una galleria d'arte nel quartiere di Trastevere dove ho esposto numerose mostre di pittori e scultori, emergenti e non. Una bella e molto impegnativa esperienza durata circa dieci anni.
Successivamente ho conseguito tre Master presso l'università Tor Vergata, importanti sia per la mia formazione personale che per la mia professione di docente.
Nel 2007 ho scoperto Berlino, diventata la mia seconda patria e dove trascorro alcuni mesi dell'anno.
Mi diverto con il teatro amatoriale “calcando le scene" da circa dieci anni.
A gennaio del 2024 ho autopubblicato su Amazon il mio primo romanzo intitolato Una via tranquilla e ora mi dedico alla stesura del secondo.





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