Sulle tracce di Menocchio, il filosofo mugnaio del ‘500 condannato a morte dall’Inquisizione (PENSIERO FILOSOFICO) ~ di Nicola Petruzzi -TeclaXXI
PENSIERO
FILOSOFICO
Nicola
Petruzzi
Sulle
tracce di Menocchio, il filosofo mugnaio del ‘500
condannato
a morte dall’Inquisizione
Menocchio, film di Alberto Fasulo (2018)
Durante
un recente soggiorno a Montereale Valcellina, in Friuli, ospite di mio cognato
Carmine Asquino e di sua moglie Lara Scandella, ho avuto occasione di visitare
un luogo che, oltre al fascino della provincia montana, porta con sé una
memoria che si è fatta storia e riflessione: quella di Domenico Scandella,
detto Menocchio, contadino, mugnaio, lettore autodidatta e protagonista di uno
dei più noti processi dell’Inquisizione nell’Italia del Cinquecento. La
parentela di Lara con Menocchio ha, nel corso degli anni, acceso in me
l’interesse per la vicenda del mugnaio friulano, giustiziato per aver
professato idee considerate eretiche.
Montereale oggi è un comune tranquillo ai piedi delle Dolomiti friulane. Nella seconda metà del XVI secolo era un piccolo borgo rurale abitato da meno di 700 persone. Menocchio vi visse tutta la vita, eccetto un breve esilio ad Arba, mantenendo la sua numerosa famiglia grazie al lavoro in due mulini presi in affitto e ad attività manuali come muratore e falegname.
La sua figura sarebbe probabilmente rimasta invisibile alla storiografia, se non fosse stato per lo sguardo attento e metodologico di Carlo Ginzburg che, nel 1976, con Il formaggio e i vermi, ne ha restituito le parole, i pensieri e le letture, ricostruendo il cosmo mentale di un uomo “semplice” e al tempo stesso radicalmente distante dalla dottrina dominante del tempo.
Nicola Petruzzi©2025
Menocchio era in grado di leggere e scrivere, un’eccezione tra i contadini del tempo. Le sue idee teologiche e cosmologiche, sviluppate a partire da testi devozionali, racconti popolari, traduzioni di cronache e letture occasionali, lo portarono a concepire un universo nato dal caos come il formarsi del formaggio nel latte, da cui presero forma vermi diventati angeli, e tra questi Dio stesso. Gesù, figlio di Maria e Giuseppe, era per lui un uomo come gli altri, sebbene di grande dignità. I sacramenti erano invenzioni ecclesiastiche, e il culto dei santi o delle reliquie una superstizione priva di fondamento. Sosteneva che tutte le religioni avessero pari valore e che Dio amasse tutti gli uomini: cristiani, eretici, ebrei, musulmani.
La
sua fu una voce solitaria, ma non incolta. Fu arrestato una prima volta nel
1584, condannato al carcere a vita e poi liberato sotto condizione. Tornato a
esprimere pubblicamente le sue opinioni, fu di nuovo processato nel 1599 e
condannato a morte. Probabilmente venne giustiziato entro la fine di
quell’anno.
Solo
pochi mesi dopo, nel febbraio del 1600, a Roma, Giordano Bruno veniva arso vivo
in Campo de’ Fiori. Le differenze tra i due sono evidenti: Bruno era un
filosofo, ex frate, protagonista di un pensiero colto e speculativo; Menocchio
era un mugnaio che formulava le sue idee attraverso la contaminazione tra testi
religiosi minori, tradizioni orali e intuizioni personali. Ma entrambi
rappresentano, in modo diverso, la potenza e il pericolo del pensiero libero in
un’epoca che non lo tollerava.
CC wikipedia pubblico dominio (autore foto: Francesca Soria)
Il
caso Menocchio, nella sua radicalità, è una delle più straordinarie
testimonianze dell’esistenza di una cultura popolare autonoma e articolata
nella prima età moderna. Un pensiero non accademico, ma non per questo meno
strutturato. Il suo linguaggio, la sua logica, le sue fonti delineano un
universo simbolico che sfugge ai canoni del pensiero più ortodosso - quello del
potere della Chiesa - e si muove in una mescolanza di punti di vista, in un modo
talvolta ingenuo ma sempre coerente nella sua tensione verso il senso delle
cose.
La
riflessione che ne scaturisce è ancora oggi urgente. In un’epoca segnata dalla
diffusione capillare della comunicazione sociale e dalla fragilità degli
strumenti critici delle cosiddette “classi subalterne”, la frattura tra cultura
“alta” e cultura “bassa” non solo permane, ma si ridefinisce in modi più
insidiosi. Non si tratta più di una cultura popolare che elabora narrazioni
proprie, bensì di una popolazione esposta passivamente a contenuti
eterodiretti, semplificati, algoritmicamente selezionati. La marginalità
culturale, un tempo creativa, oggi è troppo spesso ridotta a consumo
inconsapevole. I no vax, il populismo dilagante anche nella classe media, il
fenomeno MAGA negli USA, la crescita esponenziale della destra-destra in Italia
sollecitata negli scorsi anni da messaggi politicamente irresponsabili e
semplificatori - Bibbiano, le accise, i blocchi navali, i pericoli per la
sicurezza, la sostituzione etnica, etc. - stanno lì a confermare il fenomeno.
Paradossalmente, anche la classe dirigente sembra aver perso quella forma di
cultura che un tempo la legittimava. La retorica dello slogan ha soppiantato
l’argomentazione, l’urgenza mediatica ha sostituito l’analisi, e il consenso si
misura ormai più nella viralità che nella competenza.
Menocchio, film di Alberto Fasulo (2018)
Menocchio
parlava per immagini, certo, ma erano immagini meditate, connesse alla fatica
del pensiero e alla responsabilità della parola. Oggi, al contrario,
l’apparenza dell’accesso illimitato al sapere si accompagna a una pericolosa
perdita di capacità della comprensione dei fatti. Il suo caso interroga dunque
non solo gli storici, ma i sociologi, i filosofi della cultura, gli educatori e
la politica.
Come
ricostruire oggi uno spazio per la cultura diffusa, critica, emancipata? Come
restituire voce e strumenti alle soggettività marginalizzate? Non basta
l’accesso all’informazione: occorrono processi di formazione che restituiscano
senso alla lettura, profondità alla parola, responsabilità al giudizio.
Menocchio,
nella sua solitudine ostinata, ha pagato con la vita la coerenza di un pensiero
che nasceva dal basso. Proprio per questo, la sua voce merita ancora di essere
ascoltata e apprezzata.
NICOLA PETRUZZI
BIONOTA Nicola Petruzzi è nato a Roma nel 1965. Ḕ sposato, con due figli e due nipoti. La sua carriera professionale si è sviluppata principalmente in ACI Informatica Spa, società in house dell’Automobile Club d’Italia, dove è stato dirigente con la responsabilità dei Sistemi e Servizi della Federazione ACI, del Centro di Competenza CRM ACI, dei Sistemi e Servizi per lo Sport Automobilistico e del sistema amministrativo-contabile degli Automobile Club.
Parallelamente all’attività
professionale, ha coltivato un forte interesse per il no profit, la cultura, il
sociale e l’ambiente.
Attraverso il Forum Europeo ha
collaborato con il Centro ACP – Centro Ricerca Avanzato di Counseling e
Psicologia, presso il quale nel 2009 ha conseguito, dopo un percorso triennale,
la qualifica di Operatore della Matrice Emotiva. Successivamente ha partecipato
a progetti di formazione rivolti al benessere della persona e al sostegno delle
imprese.










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