IL GIARDINO DEI MATTI (parte I) ~ di Luigi Ananìa (NARRATIVA) - TeclaXXI

NARRATIVA

 

     Santa Maria della Pietà 

Luigi Anania


Il giardino dei matti

Parte Prima

  

Una domenica di aprile Antonio Badi portava nella sua automobile color bronzo una troupe della televisione in un giardino dove soggiornavano matti in attesa di trasferimento. Quella domenica era una delle ultime domeniche che i matti passavano in quel giardino e bisognava filmarli.

Antonio Badi era al posto di guida e sul sedile accanto  c’era il regista Antonacci,  uomo  massiccio  con i capelli raccolti in un gran codone bianco; nel sedile posteriore sedevano Berto, un  anziano di bassa statura e due ragazze incastrate fra  trespoli, lampade e teleobbiettivi;  Berto  era silenzioso ma le due ragazze, la fotografa Silvana, moglie di Antonio Badi,  e Lorenza non smettevano mai di parlare e non vedevano l’ora apparire in televisione insieme ai matti; Lorenza si limitava a ciarlare ridendo ma Silvana ripeteva esclamazioni ad alta voce e muoveva le mani così tanto che sembravano essere  tante mani agitate nel vano dell’automobile; quando si rivolgeva al marito lo  chiamava Tonio e lo  trattava  come un  gregario,   con gli occhi verdi e i capelli  fluenti ma non all’altezza del mondo dell’arte e del mondo del lavoro; difatti Tonio guidava, era l’anonimo conducente della sua automobile color bronzo  e quando  arrivarono al giardino del manicomio  non gli fu consentito di partecipare alla preparazione delle riprese.

In uno spiazzo al centro del giardino giovani laureande in psicologia organizzavano corsi di pittura, lezioni di teatro, esercizi di canto, tutte quante entusiaste e generose con i matti che si lasciavano coinvolgere. C’era Franco che partecipava al corso di pittura e diceva a Silvana che lui pittore e lei fotografa erano degli artisti e suo marito era un niente cresciuto nella bambagia; “È un ordinario, uno così..., un fessacchiotto”, le diceva dipingendo delle strisce rosse su una parete; intanto dalle sue pennellate si delineava un ritratto rosso di un uomo ridente e lui continuava a parlare male di Tonio fino a quando Lorenza chiamò tutti davanti a una telecamera. La massiccia figura del regista Antonacci dietro la telecamera attirò un ospite del giardino che si presentò come il signor Berardo e disse a Silvana che assomigliava alle protagoniste del libro Piccolo mondo antico; nel frattempo altri matti si assieparono intorno a un tavolo davanti alla telecamera mentre il signor Berardo si avvicinava all’obbiettivo e diceva che voleva scrivere un libro di centoventi pagine. Antonacci filmò il tutto girando la telecamera dal volto di Berardo a Silvana e a Lorenza che ridacchiavano circondati da un folto gruppo di matti.

Intanto  Berto prendeva la telecamera dalle spalle di Antonacci  e  la portava dall’altra parte del giardino davanti a un vecchio su una carrozzella esposta al sole; Antonacci si piantò nella terra soffice di un prato e  inquadrò il volto del vecchio; “Da quanto tempo sta qua?” riuscì a domandare Antonacci    ma il vecchio aveva già detto ad alta voce di chiamarsi Sergio e parlava: “Sono qua da sempre come da ieri, ho fatto tutto, farmaci, elettroshock, discorsi con psichiatri, viaggi terapeutici, teatro, giochi di ruolo, uscite nel mondo, esperimenti, fatti e disfatti, tentativi e prove, e adesso? Adesso sono un incompreso nell’Incomprensorio!”, e abbagliato dai raggi di sole del pomeriggio prese a muovere una mano davanti agli occhi come se volesse scacciare la luce ma più la scacciava e più il bagliore insisteva sul suo sguardo.  Antonacci provò a fargli un’altra domanda  ma a un certo punto dovette spostarsi e rimuoverlo per lasciar passare due furgoni di una società di catering appena entrati nel giardino;  dietro i due furgoni avanzava un signore con un vestito di lino, il famoso professor Segrebondi,  a cui tutti rivolsero lo sguardo  a parte Aldo, un giovane con una larga maglia di lana verde, che gli gridò “Dottore  se lei mi porta a vivere fuori di qua io sto peggio, che si crede?”; lui  gli sorrise e con un fil di voce salutò  tutti gli altri ospiti del manicomio e disse agli infermieri di apparecchiare i tavoli per la cena di quella sera, una grande cena  per celebrare   la chiusura dell’istituto. Gina, un’elegante signora in vestito rosso di seta, entrò nel giardino e in equilibrio su due tacchi a spillo indicò ai matti la giusta collocazione di forchette e coltelli; i bicchieri di cristallo furono affidati ad un cameriere e a tutti quanti fu ordinato di disporre i tavoli ad anfiteatro. Antonacci e Berto si erano spostati davanti a un’ entrata laterale del giardino dove su un palco c’era un’orchestra  con un batteria , due fiati e un’avvenente cantante sudamericana; Gina disse che era previsto un concerto prima che arrivassero gli ospiti e quando il batterista diede l’attacco con un colpo di bacchetta la cantante  gorgheggiò e tutti quanti, sani ed insani, saltarono sul palco e incominciarono a ballare; c’erano tutti, Aldo che si muoveva nella sua ampia maglia verde, Franco che mimava la musica con le dita, il signor Berardo che ondulava guardando il cielo, un anziano in camicia da notte bianca che faceva dei lunghi passi  aprendo le braccia al cielo e una massa indistinta di assistenti e di matti; in disparte dalla ribalta il professor Segrebondi batteva il tempo sorridendo.  

A un certo punto i musicisti si fermarono finché ad un altro colpo di bacchetta le due trombe risuonarono e tutti si dimenarono in una danza selvaggia; da sotto il palco Tonio saltò in mezzo all’orchestra, si addentrò nella bolgia e ballò fin quando la moglie Silvana gli urlò di andare via dal palco perché lei, Antonacci e tutta la troupe stavano filmando; lui uscì dallo spazio ripreso dalla telecamera e scese dal palco ricominciando a vagare nel giardino illuminato.

Nel frattempo, i camerieri erano arrivati fra i tavoli apparecchiati e già entravano i primi invitati che si salutavano fra loro; Gina entusiasta nel suo vestito rosso li accolse sorridendo e acclamandoli. Quando poi la gente incominciò ad arrivare a frotte l’orchestra smise di suonare e si sentirono le grida di gioia di chi si riconosceva: “Ciao! Non pensavo di trovarti qua”, “Me lo sentivo, ero certo di incontrarti”, “Che bello rivederti”, “Favoloso!” “Sei squisito e   onnipresente!”; Silvana corse incontro a una famosa regista zoppa ed emise una sequenza di versi di cui non si riusciva a distinguere un senso per l’eccesso di gioia che disarticolava ogni frase; Tonio e Berardo la osservarono e poi si guardarono fin quando non arrivarono gli infermieri e portarono via Berardo e tutti gli altri matti.  Gina accompagnò tutti gli invitati ai tavoli e fremendo di gioia assegnò ad ognuno il suo posto. Quando tutti si furono accomodati Tonio, seduto allo stesso tavolo di Antonacci, Silvana, Lorenza, Berto e della regista zoppa, si sentì un figurante di una vera rappresentazione teatrale. Dietro ai tavoli si erano sistemati i tecnici e gli operatori di varie emittenti private mentre davanti a tutti su un grande schermo passavano immagini luminose delle tre opere vincitrici del corso di arti visive: il ritratto rosso di uomo ridente di Franco, un dipinto di Aldo con il mare che riportava a riva miriadi di pomodori rossi e di volti che fuoriuscivano dalle onde, un dipinto di Berardo con delle ragazze che da un belvedere applaudivano il sole che s’immergeva nel mare. Gina si mise tra lo schermo e i commensali ed elogiò il professor Segrebondi che aveva ottenuto il diritto di trasferimento di tutti i matti dai manicomi in case-famiglia assistite dallo stato; il professor Segrebondi si alzò e ci fu un applauso mentre Gina con il microfono si avvicinava ai tavoli cercando volti noti. Il più noto era Antonio Costabile, un uomo di mezz’età che aveva conquistato i più rinomati salotti televisivi dopo anni di   corsi di teatro e di comunicazione. Costabile aveva lo sguardo suadente, una camicia aperta su un vello taurino, una sagoma molle sostenuta da un invisibile scettro che sembrava avere preso il posto della spina dorsale e che gli consentiva un’incuria che a volte si tramutava in disinvoltura. Gina gli si avvicinò rivolgendosi alla platea; “Ecco un uomo che non ha bisogno di presentazioni, Antonio Costabile”;  “Mah, io sono soltanto un difensore degli ultimi, di tutti gli ultimi, matti inclusi, la prossima puntata del mio programma Lepanto sarà sulla sofferenza mentale”, e bastò questa frase di poche parole detta con gli occhi umili di un ultimo  con il microfono in mano  per richiamare un applauso scrosciante. (continua)

La seconda (nonché ultima) parte sarà pubblicata da TeclaXXI il 16 ottobre 2024

  

 LUIGI ANANÌA


BIONOTA 

Luigi Ananìa si laurea in scienze agrarie presso l'università di Firenze nel 1986. Da allora scrive racconti e fa vino rosso a Montalcino presso l'azienda La Torre. Con la casa editrice Pequod ha pubblicato Il signor Ma (2000) e Cos'è questa nuvola (2011). Presso le edizioni DeriveApprodi ha curato l'antologia di racconti sul vino Confesso che ho bevuto (insieme a Silverio Novelli, 2004) e ha pubblicato Avant'ieri, storie di emigrazione tra la Sila, Torino e Buenos Aires (2009), Pixel, la realtà oltre lo schermo dei media (di nuovo insieme a Silverio Novelli 2012), Storie di volti e parole (2016) e  Bestiario umano (2021), ambedue in collaborazione con Nicola Boccianti.  Ha scritto racconti per  Il sempliceMaltese narrazioni e Nuovi argomenti.



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