IL GIARDINO DEI MATTI (parte II) ~ di Luigi Ananìa (NARRATIVA) - TeclaXXI

 

NARRATIVA

Vincent Van Gogh, Le jardin de l'hospice Saint-Paul 
(photo ©JSpaccini)


 

Luigi Ananìa

Il giardino dei matti

Parte Seconda*


 

Gina accennò una domanda ma si fermò  perché  vide  Costabile rabbuiarsi e lo sentì mormorare:   voglio il microfono, nessuno mi deve togliere il microfono”,  ma fu una frase  che gli scappò  come se fosse colto da una sindrome improvvisa, un’affermazione  a bassa voce  che  nessuno  sentì e non gli impedì di mostrare a una parte della platea il suo sorriso suadente; Gina si spaventò  e riprese il microfono allontanandosi con un sorriso imbarazzato. Due tavoli  più in là incontrò il professor Gregorio Incastri, un personaggio poliedrico che veniva spesso invitato in televisione  come comico o come studioso delle comunità arcaiche; il professore si alzò,  salutò Gina e il pubblico  e parlò dell’utilità dei rituali per il mantenimento dell’ equilibrio psichico e di quanto potesse essere benefico replicarli con la stessa cadenza temporale in cui erano presenti nella civiltà rurale;  “A questo proposito - disse traspirando grandi gocce dalla fronte - mi ricordo quando da bambino a maggio montavamo un palco per le bande musicali che cantavano la primavera mentre  tutta la popolazione cenava  alla luce della  luna; quelle cene annunciavano una stagione di bellezza e di pace...” e entusiasmandosi incominciò a intonare un canto popolare ma Gina lo ringraziò, lo abbracciò e andò a un altro tavolo dove c’era   il comico del momento che la vide ma non si alzò; lei gli si avvicinò e tirò il fiato come se aspettasse una bufera di ilarità  e gli chiese se aveva voglia di raccontare il suo prossimo spettacolo ma il comico si alzò sollevando un braccio al cielo come se fosse una spada e dicendo che nessuno, nemmeno lui stesso, aveva il diritto di anticipare e guastare un progetto vergine.

.Intanto le telecamere si moltiplicavano e si soffermavano  sui volti noti; Gina si ritrovò sotto tre teleobbiettivi che proiettavano un fascio di luce sulla regista zoppa,  su Silvana e Lorenza che si divincolavano come due baccanti e su Antonacci che mangiava una grande fetta di torta; la regista zoppa rimase seduta e senza badare alle domande di Gina parlò del suo  film che aveva come protagonista un vigoroso settantenne interpretato da Augusto Fioravanti: “un film sugli istinti primordiali conosciuti più dagli insani che dai sani, pulsioni ignorate da una civiltà edulcorata ma sempre sul punto di riemergere , istinti reticenti da riportare alla luce come ho fatto io seppur in salsa rosa, una storia scritta da me e da...” e mentre raccontava la storia si sentì un tonfo e tutti si voltarono su Augusto Fioravanti che correndo verso di lei era inciampato su un filo elettrico ed  era precipitato su un tavolo a sei posti travolgendo due commensali. Gina seguita da tutti i camerieri si chinò su di lui riverso sul prato, gli alzò la testa e vide un rivolo di sangue sgorgare da una tempia; l’erba si macchiava di rosso e dalla bocca semiaperta di Fioravanti fuoriusciva un   gemito che si sentiva in tutto il giardino.

Un capannello di infermieri e di curiosi accorsero intorno alla sua sagoma sussurrando il suo nome ma lui giaceva inerte aumentando il volume del suo gemito; Gina arrossì e camminò vacillando da una parte all’altra finché si ricompose e chiamò un’ambulanza. Gli invitati tornarono al loro posto a capo chino e si diffuse un brusio mesto, come se l’anima di Fioravanti si fosse già dipartita e con essa si fossero involate tutte le anime del giardino; ma il suo lamento continuava e si confuse con la sirena dell’ambulanza che gli si fermò accanto. Tre donne in camice bianco scesero e riuscirono a issarlo sulla barella e a metterlo dentro l’abitacolo; poi piano piano attraversarono il giardino prima di riaccendere la sirena e iniziare la corsa al pronto soccorso.

Quando l’ambulanza si mosse tutti gli ospiti si alzarono e si creò una processione spontanea dietro all’automobile da cui si sentivano i lamenti di Fioravanti che assunsero una frequenza di un canto liturgico; dietro a tutti camminavano Tonio e Berto ambedue con un’aria  assente  e a volte turbata per simpatia con qualcuno con cui incrociavano lo sguardo. Dal palco lasciato libero dall’orchestra, Antonacci filmava il corteo sacro con affianco Gregorio Incastri che con la fronte imperlata di sudore  gli parlava dell’ esigenza di religione: “ non solo nei templi, nelle piazze, nelle case, nelle caverne e nelle scuole ma ovunque vi sia vita animale vegetale tra le pietre e i sassi e minerali….” e via via elencando la sua voce risuonava come una predica appassionata nel giardino del manicomio; poi si sentì la sirena, qualche parola di circostanza e il rumore della cinepresa che filmava il giardino ormai vuoto.  

*La prima parte è stata pubblicata da TeclaXXI l'8 ottobre 2024

 LUIGI ANANÌA


BIONOTA 

Luigi Ananìa si laurea in scienze agrarie presso l'università di Firenze nel 1986. Da allora scrive racconti e fa vino rosso a Montalcino presso l'azienda La Torre. Con la casa editrice Pequod ha pubblicato Il signor Ma (2000) e Cos'è questa nuvola (2011). Presso le edizioni DeriveApprodi ha curato l'antologia di racconti sul vino Confesso che ho bevuto (insieme a Silverio Novelli, 2004) e ha pubblicato Avant'ieri, storie di emigrazione tra la Sila, Torino e Buenos Aires (2009), Pixel, la realtà oltre lo schermo dei media (di nuovo insieme a Silverio Novelli 2012), Storie di volti e parole (2016) e  Bestiario umano (2021), ambedue in collaborazione con Nicola Boccianti.  Ha scritto racconti per  Il sempliceMaltese narrazioni e Nuovi argomenti.


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