In attesa della ristampa di un fondamentale glossario gaddiano (parte I) ~ di Gualberto Alvino (CRITICA LETTERARIA) - TeclaXXI
CRITICA LETTERARIA
In attesa della ristampa
di un fondamentale glossario gaddiano
Parte Prima
In questa sua
ennesima fatica gaddiana[1]
(ricordiamo, fra i molti contributi in rivista e in volume sul prosatore lombardo,
Fiorentino antico e vernacolo moderno in
«Eros e Priapo», Invenzioni lessicali
gaddiane e Gadda. Storia linguistica
italiana) il linguista Luigi Matt allestisce — in assenza, si badi, d’un
dizionario storico del dialetto capitolino e dovendo quindi riferirsi a più di
trecento autori dell’altro secolo, in gran parte malnoti persino agli
specialisti di letteratura dialettale: ciò dia la misura dell’impresa — un
lessico completo dei romaneschismi presenti nella redazione definitiva del Pasticciaccio (oltre quattrocento lemmi rispetto alle «poche decine di parole
o locuzioni finora considerate dagli studiosi», non senza forti abbagli
interpretativi), nonché un glossarietto di quelli contenuti nella sua prima
stesura (apparsa in «Letteratura» nel 1946), confutando la tesi dei critici più
autorevoli, tra cui Paola Italia ed Emilio Manzotti, secondo cui Gadda si
ispirerebbe direttamente al modello dell’amatissimo Giuseppe Gioacchino Belli,
non allevando alcun intento mimetico del parlato plebeo. Matt dimostra, invece,
che i bellismi non superano la ventina e le parole estranee all’uso del poeta
romano oltrepassano il centinaio: «non ci sono quindi dati sufficienti —
precisa l’Autore — a far parlare di una matrice belliana. […] tra il modello di
Belli e il romanesco novecentesco è il secondo a guidare molto più spesso le
scelte di Gadda. Un’ulteriore riprova si ha verificando il trattamento di
quelle parole che nei Sonetti si
presentano in una variante diversa da quella che poi si sarebbe affermata in
romanesco. A fronte di un paio di casi in cui nel Pasticciaccio si riproduce la fonetica belliana, […] per una
dozzina di parole l’opzione di Gadda è per la fonetica postbelliana […]. E
anche quando le differenze tra il romanesco belliano e quello novecentesco
riguardano la semantica, la scelta ricade sul significato moderno». Inoltre,
«le forme e i fenomeni dialettali rintracciabili nella versione definitiva (per
la quale, come si sa, Gadda si è servito della consulenza del principale poeta
romanesco del tempo, Mario Dell’Arco), sono,
in larghissima maggioranza, propri del parlato della Roma dei primi decenni del
Novecento (ricordo che la vicenda è ambientata nel 1927), e che [i] dialoghi,
in particolare, appaiono come rappresentazioni sostanzialmente verosimili del
modo di esprimersi dei personaggi messi in scena». Scoperta a dir poco sensazionale,
destinata a seminar scompiglio in più d’un distretto dei Gadda studies.
Ma il Nostro è
analista troppo raffinato e prudente per non essere ben consapevole dei rischi annessi
a una tale operazione. A parte le molte identità tra romanesco e italiano
dovute alla toscanizzazione del primo verificatasi a decorrere dal xvi secolo — ciò che impedisce spesso di
«tracciare sicure linee di demarcazione» —, la parola gaddiana, caratterizzata
da accesa espressività e da una prismatica molteplicità di registri e punti di
vista, rende oltremodo arduo cogliere la romaneschità di molti termini. Ecco
alcuni esempî dei criterî di selezione (dai quali si evinca l’acuzie e l’estrema
cautela del critico):
Ci si può chiedere come vada interpretato il participio passato untato, che ricorre due volte nel romanzo. Il verbo untà è accolto [nel Dizionario romanesco di Fernando Ravaro, Roma, Newton & Compton, 1994], che ne riporta un’attestazione del poeta settecentesco Benedetto Micheli. Ma è legittimo sospettare che questa forma, di cui non sono note altre tracce in romanesco, non sia mai stata davvero in uso nel dialetto, che conosce invece le forme ontà e ogne. Bisogna inoltre considerare tre fatti: a) a Gadda era certamente ignota l’attestazione di Micheli, dato che il poema La libertà romana acquistata e defesa era ai tempi della composizione del Pasticciaccio ancora inedito; b) il verbo è utilizzato nel romanzo in passi impostati su un registro letterario piuttosto elevato; c) la forma si ritrova in altri testi gaddiani, dove il romanesco non ha nulla a che fare. Per tutti questi motivi sembra quindi opportuno non inserire la parola nel glossario. (pp. 14-15).
Anche
il verbo abbadare non va interpretato
come romanesco (anche se nel dialetto è corrente), dato che il contesto («per
abbadare dietro alle belle») è assai simile a vari passi di altre opere
gaddiane in cui il romanesco non ha luogo; del resto, abbadare dietro è locuzione sconosciuta al dialetto (ma non
all’italiano: è registrata in Tommaseo-Bellini 1865-1879, con la seguente
definizione: «perdere il tempo in cose meno importanti di quel che si deve,
oziare, bighellonare»). (p. 15);
Per quanto riguarda zebedei, vocabolo non estraneo al
romanesco (dove però è poco frequente, e certamente molto meno comune di cojoni), la forma adottata induce ad
escludere che Gadda lo usi in quanto romanesco (l’unica grafia possibile in
dialetto è zebbedei, e nel Pasticciaccio il raddoppiamento di b intervocalica è rappresentato
sistematicamente); anche il contesto, d’altronde, non è dialettale (la frase
«levatecelo un po’ dagli zebedèi questo missionario del cacchio» è attribuita
ad immaginari indigeni africani). // Un caso interessante, perché mostra con
tutta evidenza una difficoltà data dalla peculiare prosa gaddiana, è quello di intorcolare ‘attorcigliare’ («un
cioccolatinone verde intorcolato alla Borromini»), verbo indicato in gradit come romanesco, ma che in realtà
è del tutto sconosciuto al dialetto. Il fatto che la voce sia registrata in
quel dizionario a partire proprio dall’attestazione gaddiana chiarisce ogni
dubbio: si tratta evidentemente di una neoformazione, la cui presenza in un
romanzo così densamente permeato di dialetto ha tratto in inganno i
lessicografi. (pp. 15-16).
[1] Luigi
Matt, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Glossario romanesco,
Roma, Aracne, 2012.
GUALBERTO ALVINO
BIONOTA
Scrittore e critico letterario, Gualberto Alvino si è particolarmente dedicato agli irregolari della letteratura italiana, da Consolo a Bufalino, da Sinigaglia a D’Arrigo, da Balestrini a Pizzuto. Suoi scritti poetici, narrativi, critici e filologici appaiono regolarmente in riviste accademiche e militanti, di alcune delle quali è redattore e referente scientifico. Dirige la collana «Vallecchi / Italianistica» e collabora stabilmente con l’Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani) con recensioni e rubriche.
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