Una nota su due libri di Paolo Valesio (CRITICA LETTERARIA) ~ di Barbara Carle - TeclaXXI
CRITICA LETTERARIA
Barbara Carle
Una nota su due libri di Paolo Valesio
Ci sono poeti che seguono un percorso lineare e coerente
per esprimersi con uno stile descrittivo, lirico, sperimentale o elegiaco
attraverso le loro composizioni. L’opera poetica di Paolo Valesio è complicata,
possiede dimensioni contrastanti. Ma al suo interno esistono delle chiare
correnti leggibili. La sua è una poesia del pensiero. Intendo che la sua poesia
appartiene alla tradizione di Dante, Leopardi, Valéry, Pasolini, un certo
Montale, ecc. Per questo le consuete barriere tra scrittura creativa e critica
e/o filosofica cadono. Non esclude momenti lirici, ma si costruisce e si
decostruisce attraverso il tempo. Lo sperimentalismo fa parte del pensare come
il dialogo. L’elemento dialogico si vede chiaramente nel suo ultimo libro, Il
Testimone e l’Idiota. (2022). Per Valesio la scrittura in generale è un
dialogo con altri testi ma anche con la natura. La natura sembrerebbe quasi del
tutto assente dal suo ultimo libro ed è vero che le città dettano il ritmo e
gli scambi tra i protagonisti: Manhattan, Bologna, New York, Bologna e così via.
Tuttavia, ci sono due poesie che contrastano questa tendenza urbana: I can’t
believe it! (Dream Poem) e Nadar en la nada. Nel primo testo
troviamo gli uccelli, piccioni e un riferimento ai falchetti, mentre nel
secondo si ricorda e si ritorna ai “bodies of water” il fiume Hudson, i canali
di Venezia, “la sponda di un laghetto.” Attraverso la poesia valesiana, nel
Servo Rosso (2016), Esploratici solitarie (2018), Il volto quasi umano
(2009), troviamo numerose poesie scritte al laghetto di Linsley. E questo posto
diventa il centro narrativo in Dialogo coi volanti (1997) il sottotesto
delle due poesie citate qui sopra.
Per capire il rapporto tra le dette poesie e il suo
ultimo volume, è necessario fermarci e spiegare il libro più lontano nel tempo,
ma presente negli altri. Dialogo coi volanti è stato definito dal suo
autore come: “una meditazione continuata; ovvero, un saggio di pensiero
narrativo.” Anche se non lo chiamerei un saggio, sarei d’accordo nel considerarlo
“una meditazione continuata,” a patto che si cambi la parola “meditazione” con
“poesia.” Già il primo libro di Valesio s’intitolava Prose in poesia.
Qui i brani di prosa sono “poesie” in molti casi. Vediamo com’è fatto questo
libro singolarissimo. Si comincia con una citazione prolungata (cosa che accade
spesso in Il Testimone e l’Idiota, d’ora in poi: T & I) dai Fioretti
di San Francesco, dal sedicesimo capitolo dove San Francesco fa la predica
agli uccelli. Segue un prologo nel quale si stabilisce una visione (come
all’inizio dei T & I, i “dream poems”) di un frate che si ferma per
contemplare. Il narratore dichiara di voler registrare “segmenti di quella
visione.” Lo fa attraverso il personaggio di Silvio che si sdoppia; racconta sé
stesso in prima persona nel suo diario, poi diventa protagonista e viene
raccontato alla terza persona: “I numeri romani introducono ai momenti vissuti
da Silvio, quelli arabi distinguono le successive sequele delle sue pagine di
diario.” La parte centrale s’intitola “Il lago e la selva” quindi ed è composta
da 18 capitoli che vengono dal diario di Silvio e di altri XVII capitoli che
raccontano o riproducono il suo anti-dialogo in natura. Il libro ha una doppia
cornice, la citazione del sedicesimo capitolo dai Fioretti, poi un
prologo e un epilogo. Il narratore compare, come nel Decameron,
all’inizio e alla fine. Il vero dialogo ha luogo tra Silvio e i Fioretti di
San Francesco, mentre tra Silvio e gli animali e la natura avviene un anti-dialogo
che consiste nell’ascolto o nell’unirsi con essi in natura. Alla fine, leggiamo
un lungo capitolo di congedo quando Silvio sta partendo e la visione di un
leprotto richiama un famoso quadro del Maestro dell’Osservanza, di Sant’Antonio
Abate nel deserto. Segue una lunga e dettagliata analisi di questo quadro e la
conclusione che il leprotto visto alla luce dei fari non ha nulla a che fare
con la rappresentazione del vizio attraverso gli animali del quadro (coniglio,
cervo, fauno mostruoso, uccelli lugubri). Un brevissimo epilogo conclude il
libro:
Ho perso di vista
Silvio, che si è incamminato verso altre esperienze. Ma sono le sue vedute o
visioni, non le mie, ciò che conta; e in questo riguardo, io sento che egli non
si è perduto, anzi prosegue il suo cammino in una più chiara luce.
Silvio è il doppio personaggio creato dal narratore. Il
libro ha quindi una struttura ad alternanza. Si parte in terza persona con il
numero romano e si finisce progressivamente, andando da “lui,” all’io del
diario, al “lui” creatura del narratore, non il narratore stesso. L’alternanza
dei punti di vista accelera il ritmo del libro. Si varia tra un’atmosfera di
immersione nella natura quando si racconta di lui= Silvio, a riflessioni sul
rapporto tra gli esseri umani e gli animali nel diario. Gli animali sono veri
personaggi e hanno una forte presenza, gli uccelli, i cigni, le anatre, le
anatrelle, il procione, la tartaruga, i pesci, lo scoiattolo, il chipmunk,
il gatto, il leprotto e così via. Silvio ha incontri intimi con ogni creatura,
essa gli trasmette sempre un nuovo modo di uscire da sé stesso. Ogni incontro
consiste nell’ascolto totale:
Ed ecco il ruolo
dell’ascolto: se si insiste in questa percezione, si finisce con l’ascoltare il
silenzio della Natura prima dell’elaborazione di ogni pensiero.
Attraverso il dialogo l’autore si riappropria del
messaggio francescano e lo reinterpreta. Propone un modo nuovo di contemplare
che non si basa su una concentrazione interiore:
La tendenza più
visibile, nella teologia e spiritualità occidentale, è quella che punta (basti
pensare alla famosa esortazione di sant’Agostino) all’interiorità. Ma la
lezione più importante che gli animali ci offrono è quella dell’esteriorità.
[…] esiste una esteriorità silenziosa che è più profonda dell’interiorità; è
l’esteriorità della natura, degli animali.”
L’immedesimazione nella natura di Silvio lo porta a un
silenzio che “sfonda le pareti dell’io, rivelandole al tempo stesso come mura
di prigione o sbarre di gabbia.” Le contemplazioni non si limitano a temi francescani.
Un altro filo che emerge chiaramente è quello della reincarnazione trattato nel
capitolo sul chipmunk e quello del gatto. Cito il brano dal capitolo XI
per chiarire questo punto. Il passo fa capire come le visioni di questo libro
decollano prendendo vita e poesia propria:
[…] Il chipmunk mette in luce tutte le possibilità
araldiche che nello scoiattolo sono imperfettamente realizzate. Esso possiede
un’eleganza fragile e medievale, da vetrata con figure a colori e piccoli
cerchi sporgenti di piombo o da stemma; o da merlatura.
Ma nemmeno questo
rende ciò che vi è di segreto nel chipmunk. A questo segreto Silvio è giunto vicino (non è
possibile, naturalmente, conquistarlo appieno) quando ha percepito che il chipmunk è lo spirito dello scoiattolo;
un’entità racchiusa dentro lo scoiattolo, che a tratti si libera dal suo
involucro e comincia ad aggirarsi indipendentemente per il sottobosco. Questo
animaletto segna la via a comprendere la reincarnazione. (XI, 94)
Per il momento ci fermiamo qui, ma Dialogo coi volanti
merita più attenzione. Per capire bene l’opera di Paolo Valesio è necessario
conoscere a fondo anche questo libro delizioso, struggente, esatto, divertente
e gioioso. Si tratta di una fonte dietro molte poesie più recenti come I can’t
believe it! (Dream Poem) e Nadar en la nada.
Anche se il riferimento a San Francesco sembra scherzoso
in I can’t believe it! (Dream Poem), l’importanza del suo pensiero e
l’esempio del suo rapporto con la natura hanno un ruolo chiave nel Dialogo
coi volanti. L’immagine comica del santo-uccello fa eco all’idea del
discorso uccello o il discorso pesce di cui Silvio ragiona. Ma è anche la
conferma della poesia del pensiero. L’autore ha ripensato e ora vediamo San
Francesco in vesti molto diverse. Nel secondo testo, mélange di versi e prosa,
si evoca quello stesso lago centrale in Dialogo coi volanti, il posto
dove: “Il Testimone ha vissuto i suoi anni forse più naturali/ sulla sponda di
un laghetto” ovvero “il suo laghetto/sulle rive del quale si illudeva/di
restare per sempre soleggiato dalla meridiana della sua maturità!” Questa composizione
esprime il desiderio e la nostalgia per “bodies of water” (titolo anche di
un’altra poesia in T &I) che diventa un impulso di annientamento, di
“dissoluzione” in “fondo a tutta l’Acqua-Madre” che poi viene respinta alla
fine, anche se la nostalgia per il laghetto rimane. Il titolo in spagnolo: Nadar
en la nada, nuotare nel nulla non viene specificamente ripreso nel corpo
del testo. Invece “il nulla” viene tradotto da “dissoluzione.” In altri testi
di T &I, il concetto del nulla viene respinto (La nullità
e Uomo concavo). Si immagina il ridicolo di un corpo “tutto gonfio e
marmato” di un “oggetto così farebbe ridere” rinforzando in questo modo la
fantasia grottesca. Oltre il posto americano amato e perduto si nasconde un
possibile intertesto, The Swimmer di John Cheever (1964), dove il
protagonista va in giro nuotando nel nulla delle varie piscine della contea per
poi tornare alla propria casa vuota. Il racconto ha una forte dimensione
satirica che si vede nei proprietari delle varie piscine, anche loro pieni di
liquidi, ma in questo caso, i cocktail di troppo. Insomma, si tratta di una
serie di “bodies of water” decisamente “inquinata” in qualche modo. Questo non
è il caso del laghetto, un posto quasi occulto, che rivela tutte le dimensioni
magiche e orribili della natura ma che conserva una sua “innocenza.”
BARBARA CARLE
BIONOTA Barbara Carle poeta, traduttore e critico. È italianista emerita all'Università statale della California a Sacramento. Ha pubblicato diversi libri di poesia bilingue e un libro di poesia e prosa in italiano. Ha tradotto molti poeti dall'italiano all'inglese e dall'inglese all'italiano.
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