Ottanta anni fa la liberazione di Torino - Il contributo delle formazioni partigiane del Canavese alla liberazione di Torino (STORIA) ~ di Riccardino Massa
STORIA
Riccardino Massa
Ottanta anni fa la liberazione di Torino - Il contributo delle formazioni partigiane del Canavese alla liberazione di Torino
c
“Aldo
dice 26 per uno”. Questa frase, che ormai è entrata nella Storia, fu la parola
d’ordine che Radio Londra pronunciò₁ per avvisare le forze
patriottiche di attaccare le città del Nord, in Piemonte. La sua traduzione era
che l’attacco sulle città doveva avvenire in data 26 aprile all’una di notte. Infatti,
benché si festeggi il 25 aprile come data simbolo della liberazione nazionale,
le varie insurrezioni si susseguirono in un periodo di tempo più ampio e
geograficamente da sud verso nord.
Molto
tempo prima erano insorte le città del meridione (la città di Napoli insorse
20 mesi prima per quattro giorni dal 27 al 30 di settembre 1943, anticipando
l’arrivo delle forze alleate), ma il ritardo nella risalita della penisola
da parte delle forze alleate aveva procrastinato la liberazione dell’alta
Italia. La battaglia di Firenze avvenne dall’11 agosto del 44 e si concluse
solo il 1° settembre, Bologna invece venne liberata il 21 aprile del 1945. l’insurrezione
di Genova ebbe inizio il 24 aprile 1945. Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta
Italia (CLNAI), pur richiamando le forze patriottiche all’insurrezione per il
giorno successivo alle ore 13 (L’ordine partì da tre dei componenti il
comitato; Leo Valiani, Sandro Pertini, Emilio Sereni) si riunirà solo il mattino
successivo, cioè il 25aprile a Milano, presso la sede dei Salesiani di via
Copernico per dirigere tutte le operazioni che sarebbero state avviate in tutto
il nord d’Italia. Ogni regione aveva però i suoi comitati regionali che
operavano territorialmente. Il comitato piemontese che si era ricostituito (I
membri del primo comitato militare furono scoperti, arrestati mentre si
riunivano nella sacrestia del Duomo di Torino, processati con un processo farsa
da parte del tribunale fascista e poi condannati a morte e fucilati al poligono
di tiro del Martinetto di Torino)₂ aveva stabilito con la
direttiva n. 250 emessa in data 30 gennaio 1945, che il territorio piemontese
doveva essere diviso in zone partigiane che rappresentassero la gran parte del
territorio piemontese. Restò fuori da questa suddivisione il novarese che
invece gravitò sulla città di Milano.
I°
zona (Biellese e Vercellese (fino alla cittadina di Ivrea)
II°
zona Valle d’Aosta
III°
Zona Valli di Lanzo e Canavese
IV°
Zona Valli di Susa, Chisone, Sangone, Pellice e Germanasca
V°
Zona Cuneo pianura, valle Gesso e valle Po'
VI°
Zona Monregalese, Langhe, Monferrato occidentale
VI°
Zona bis Monferrato orientale
VII°
Zona Alessandrino ed Acquese
Comandi
di Piazza, per le zone urbane dei capoluoghi di Provincia.
Sempre
con la stessa direttiva si indicarono i campi d’azione all’atto
dell’insurrezione. Pur non sguarnendo le zone dove si operava, le formazioni
partigiane avrebbero dovuto scendere nelle città capoluogo per dar man forte
alle forze della resistenza che già operavano in città (SAP e GAP agli ordini
dei Comandi di Piazza).
Per
questo motivo si indicò che alla liberazione nelle seguenti città fossero
impegnati i partigiani delle seguenti zone:
Vercelli,
sarebbero state coinvolte le formazioni della I° Zona
Aosta,
quelle della II° Zona
Torino
quelle delle Zone III° - IV° - V° (in parte) -VI° bis (in parte)
Cuneo
quelle della Zona V° (in parte)
Asti
quelle delle Zone VI° e VI° bis (in parte)
Alessandria
quelle della Zona VII°
Il
Comitato piemontese di Liberazione Nazionale lanciò un appello nei giorni
precedenti all’insurrezione. Era il 16 di aprile e si richiamavano i lavoratori
ad uno sciopero generale da effettuare il giorno 18. Sarebbe stata la prova
generale della disponibilità alla lotta dei cittadini nelle città capoluoghi di
provincia. L’Appello allo sciopero generale diceva: “Aderite in massa allo
sciopero generale contro la fame ed il terrore nazista: si fermi il lavoro
nelle fabbriche, nei tribunali, nelle scuole; chiudano i negozi, si blocchi la
circolazione tranviaria”. In tutte le città piemontesi si registrarono
fermate dal lavoro ed assenteismo nelle fabbriche da parte degli operai che
neppure si presentarono ai cancelli. Il primo tram che si fermerà a
Torino, seguito da tutti gli altri, sarà il numero 14 alle 10 del mattino in
via XX Settembre, in centro alla città. Il luogo era simbolico proprio in
quanto centrale. Il tranviere incrociò le braccia e fece scendere tutti quelli
che viaggiavano. Subito dei volontari fascisti cercheranno di sostituirsi ai
tranvieri al fine di dimostrare che la città non si bloccava per lo sciopero.
Ma lo sciopero si irradiò a macchia d’olio in tutta la città. Chiusero i
negozi. Nelle barriere operaie gli antifascisti organizzarono comizi volanti
per le strade, le fabbriche si fermarono e davanti allo stabilimento della Fiat
Mirafiori i tedeschi andarono a schierare i carri armati. Lo stabilimento della
Grandi Motori venne invaso da gruppuscoli fascisti con manganello che minacciarono
tutti gli operai che erano in quel momento in turno e che avevano aderito allo
sciopero. Ma dalle officine iniziarono a spuntare delle armi ed i fascisti se
la diedero a gambe.
La
liberazione di Torino avvenne invece nei giorni che andarono dal 26 al 28
aprile, anche se strascichi di guerra partigiana contro i nazi fascisti
proseguirono ancora nei primi giorni di maggio del 1945. Infatti, la
dichiarazione di resa incondizionata avvenne solo il 29 aprile quando i
rappresentanti delle forze d’occupazione firmarono a Caserta davanti ai
delegati di Stati Uniti e Gran Bretagna con la presenza di un osservatore
sovietico. La firma dei tedeschi fu, di fatto, anche la resa fascista della
Repubblica di Salò visto che, con un documento di delega, il ministro della RSI
Rodolfo Graziani aveva autorizzato i tedeschi a rappresentare anche le
formazioni fasciste. Mentre le forze partigiane del Novarese furono indirizzate
su Milano per la liberazione della città, tutte le altre brigate operanti
sull’arco alpino delle Alpi Graie, Cozie, Pennine e quelle operanti nelle zone
collinari e di pianura scesero a supporto delle forze di insurrezione delle
varie città. Naturalmente, soprattutto per quel che riguarda le formazioni
operanti nelle zone del Canavese la lotta armata sarebbe durata ancora svariati
giorni in quanto le truppe tedesche in ritirata, in parte si avviarono verso il
nord – est, ed in parte tentarono di ritirarsi dall’Italia verso il Nord- Ovest
e la Valle d’Aosta nel tentativo di raggiungere la Svizzera neutrale. In queste
zone lasciarono ancora la loro scia di sangue, poiché con il loro passaggio sul
territorio canavesano, le truppe tedesche seguite dagli accoliti fascisti,
effettuarono ancora delle stragi sino ai primi giorni di maggio.
Come
avvenne dalle colline del Monferrato torinese e dalle montagne della valle di
Susa, anche dalle montagne e dalla pianura canavesana giunsero a Torino le
formazioni partigiane richiamate per la liberazione.
Dal
Nord est, dalle valli del Canavese, scese su Torino una colonna partigiana
forte di 1.500 uomini delle formazioni Garibaldi e Giustizia e Libertà. Questi
ebbero il primo grande scontro contro i militari tedeschi che tentavano di
raggiungere l’aeroporto di Caselle nella speranza di essere aviotrasportati via
dall’Italia dalla Luftwaffe. Ancora tra i tedeschi resisteva il mito
dell’imbattibilità delle loro forze aeree, anche se ormai nessun aeromobile
sarebbe stato disponibile ad imbarcare le truppe in ritirata.
Le
formazioni Matteotti, invece, scesero su Torino passando nella pianura torinese
più orientale. Le sole forze combattenti in Piemonte furono costituite da
108.421 partigiani ₃ (tra questi numeri non sono contare le
staffette partigiane e la moltitudine di civili che collaborarono nella
Resistenza senza essere armati).
Nei
venti mesi di guerra partigiana le perdite nella III° Zona partigiana erano
state notevoli. Dai dati in nostro possesso ₄ in quest’area ci furono: per la 2° e 4° Divisione Garibaldi 610 caduti
e 1.150 feriti di cui un centinaio mutilati, per la Divisione Alpina Giustizia
e Libertà 79 caduti e 199 feriti, per la colonna Giustizia e Libertà “Renzo
Giua” 5 caduti e 20 feriti, per la Divisione Matteotti “Davito Giorgio” i
caduti furono 150 e 250 i feriti (ma questo dato di morti e feriti risulterebbe
impreciso in difetto), per la Divisione Autonoma “Valle Orco” le perdite furono
35 ed i feriti 42. La formazione più numerosa fu sicuramente la 4° Divisione
Garibaldi che giunse ad avere circa 4.000 combattenti nell’estate del 1944 (nell’inverno
1944-1945 molti partigiani scesero dalle montagne ed andarono ad aumentare il
numero dei patrioti nelle Squadre di Azione Patriottica che operavano in
pianura). D’altra parte, con il proclama Alexander si era ordinato (13
novembre 1944) alle forze partigiane, non senza qualche polemica, di
smobilitare per l’inverno in quanto la liberazione, sarebbe avvenuta solo in
primavera. Naturalmente la smobilitazione non poteva avvenire senza incorrere
in grossi rischi. I partigiani erano ricercati e certamente non avrebbero
potuto rientrare nelle loro case.
Ciò
nonostante, proprio per il gran freddo di quell’inverno molti dovettero
scendere verso la pianura per poter trovare migliori ripari. Le truppe alleate anglo-americane
giunsero in Torino solo 36 ore dopo la sua completa liberazione. Anche se il
palazzo di via Carlo Alberto sede del Partito Nazionale Fascista venne subito
svuotato per la fuga improvvisa dei gerarchi, i fascisti a Torino si ritirarono
in case private e fecero del cecchinaggio sia sulle formazioni partigiane come
sui civili che passavano in strada. Le truppe tedesche si ritirarono dalla
città nella notte tra il 27 ed il 28 aprile ed il quotidiano cattolico “Il
popolo nuovo” annunciò già nella stessa mattinata con il titolo di prima pagina
“Torino è libera”.
₁
La voce di Radio Londra era del conduttore radiofonico Harold Raphael Gaetano
Stevens (nato Napoli il 4 maggio 1883 e deceduto a Bournemouth il 1° gennaio
1961. Chiamato dagli italiani “il colonnello buona sera”
₂
L’esecuzione avvenne il 5 aprile del 1944, furono condannati a morte e
fucilati; Franco Balbis (capitano), Quinto Bevilacqua (Socialista), Giulio
Biglieri (Partito d’Azione), Paolo Braccini (Partito d’Azione), Errico
Giachino, Eusebio Giambone (Partito Comunista), Massimino Montano (Tenente),
Giuseppe Perotti (generale e presidente del comitato). Vennero invece
condannati all’ergastolo con la stessa sentenza dal Tribunale Speciale Fascista;
Carlando, Geuna, Giraudo, Leporati ed a due anni di reclusione Brosio. Furono
invece assolti per mancanza di prove in quanto i fascisti fecero l’errore di
arrestarli fuori del Duomo, prima che entrassero in riunione; Chignoli e Fusi.
₃
Banca dati del Partigianato Piemontese, ricerca condotta dagli Istituti Storici
della Resistenza del Piemonte in collaborazione con il Ministero della Difesa.
₄ Piccola Storia della Resistenza nel Canavese e nelle Valli di Lanzo, Genesi
Editrice – Torino – marzo 2020
RICCARDINO MASSA
Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.
La storia di noi tutti che ci inorgoglisce ma deve anche responsabilizzarci a proteggere il futuro di ogni essere umano...
RispondiEliminaGrazie per avermi insegnato cose e fatti che non sapevo.
RispondiEliminaLe tue pubblicazioni sono sempre molto interessanti ed istruttive.
Aldo Dovo
Ottima sintesi: agile, essenziale, molto comprensibile. Grazie
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